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«Maricoltura eccellenza italiana a rischio se non si valorizza il comparto»

Agli Stati generali di Roma invocate norme chiare, formazione e promozione

Pubblicato il: 20/03/2025 – 15:12
«Maricoltura eccellenza italiana a rischio se non si valorizza il comparto»

ROMA Garantire le produzioni dell’acquacoltura italiana con una regolamentazione quadro e regole chiare e uniformi per le concessioni, dando spazio adeguato all’allevamento ittico; promuovere lo sviluppo del comparto attraverso una corretta informazione e formazione; sostenere l’innovazione tecnologica e la ricerca finalizzate allo sviluppo sostenibile e alla mitigazione degli effetti del cambiamento climatico sull’acquacoltura.
E’ l’appello lanciato stamani dall’API, l’Associazione dei Piscicoltori Italiani di Confagricoltura, agli Stati Generali della maricoltura che si sono tenuti stamani a Palazzo della Valle a Roma. Un appuntamento che corona un percorso di incontri sui territori interessati che ha affrontato i temi del cambiamento climatico che influisce sulla gestione degli allevamenti e della concorrenza internazionale sempre più agguerrita.
“Garantire la competitività delle nostre imprese, tenuto conto che l’Italia ha perso quote rispetto ad altri Paesi – ha detto il vicepresidente esecutivo di API Claudio Pedroni, allevatore in Toscana – è la nostra priorità. Con oltre 8mila chilometri di coste, sono solo 20 le concessioni off-shore di impianti di produzione di maricoltura. La situazione è ferma a trent’anni fa, mentre altri Stati hanno investito nel comparto, arrivando a produzioni di gran lunga superiori a quelle italiane, garantendo occupazione e solidità economica”.

Il comparto in cifre

Oggi l’acquacoltura nazionale produce oltre 50mila tonnellate di animali acquatici, di cui quasi il 90% spigole, orate e trote. Sommando anche la produzione di molluschi, si arrivava nel 2022 a 130mila tonnellate complessive, praticamente la medesima quantità di quello che si ottiene con l’attività di pesca della nostra flotta nazionale. Anche se, in realtà, dopo l’estate del 2023, con gli effetti del cambiamento climatico, la produzione di molluschi si è drasticamente ridotta.
Di fronte ai mutamenti del clima, l’API, che rappresenta la quasi totalità delle aziende del comparto, occorre spingere sull’innovazione e sulla ricerca per trovare soluzioni atte a garantire un ambiente-mare più sano e un approccio ancora più sostenibile da parte delle imprese, spinto da un quadro normativo certo e strategico per il settore.
In questa direzione si inserisce la stretta collaborazione dell’Associazione Piscicoltori con gli enti di riferimento, quali l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, presente oggi con il direttore generale Antonia Ricci; con Assalzoo, intervenuta con il DG Lea Pallaroni, e con il mondo accademico, stamani rappresentato da Cristina Pozzi, docente di Diritto europeo dei trasporti all’Università di Parma.
L’acquacoltura italiana è comunque riconosciuta in tutto il mondo per l’alta qualità della produzione e per la sua biodiversità con più specie allevate in ambienti e strutture con tecnologie diverse (impianti off-shore e a terra). Alle produzioni di pesci destinati al consumo si aggiungono le produzioni delle avannotterie di specie eurialine (orata e spigola) con oltre 180 milioni di avannotti prodotti e destinati agli allevamenti di tutta l’area mediterranea.

«Più informazione al consumatore»

“Per garantire un futuro di crescita al comparto – ha aggiunto Matteo Leonardi, presidente di API – occorre parallelamente intensificare e migliorare l’informazione al consumatore sull’origine nel mondo della ristorazione, oltre che lavorare sulla formazione in ambito tecnico-professionale, e non solo accademico”.
“Il fatturato dell’acquacoltura italiana supera i 400 milioni di euro e si conferma un settore importante per la nostra zootecnia, sebbene sia tra quelli più ‘giovani’. – ha commentato il vicepresidente di Confagricoltura, Luca Brondelli –. Come Confederazione, insieme all’API, il nostro obiettivo è far crescere e sviluppare il comparto: l’Italia è il primo consumatore al mondo di spigole e orate, ma solo poco più del 20% è prodotto da allevamenti italiani. Dobbiamo colmare questo gap, valorizzando al contempo i territori di produzione, che sono anche un vanto ambientale e turistico per il nostro Paese”.

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