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la storia

Alvaro direttore del Giornale radio nazionale della Rai

Si dimise, però, dopo qualche settimana. È stato il primo giornalista in Italia a ribellarsi alle prevaricazioni del governo e dei partiti nell’informazione

Pubblicato il: 23/03/2025 – 13:08
di Roberto De Napoli
Alvaro direttore del Giornale radio nazionale della Rai

Verso la fine di febbraio del 1945, agli inizi del periodo di transizione dal Ventennio fascista alla Repubblica, Alvaro fu nominato direttore del Giornale radio nazionale della RAI. La libertà di stampa e il rapporto dei mass-media con il potere politico era un problema che il governo democratico di Bonomi e i partiti, ma anche tutto il mondo editoriale, dovevano affrontare e risolvere. Il PWB si accingeva a consegnare il controllo della stampa al governo italiano. La RAI era commissariata e al Giornale radio bisognava nominare il direttore. Doveva essere antifascista, distante dai partiti, di indiscussa professionalità, di chiara fama internazionale. Doveva essere una personalità che avrebbe dimostrato la volontà del governo di voltare pagina rispetto al passato. Si scelse Alvaro, il quale, però, si dimise dopo qualche settimana perché non aveva riscontrato l’autonomia professionale che gli era stata garantita. Questa vicenda è emblematica nella storia della RAI e dell’informazione in Italia, relativamente alla libertà di stampa e all’autonomia professionale del giornalista il quale, riteneva Alvaro, ha il diritto di utilizzare fonti proprie oltre a quelle istituzionali. Tralascio la ricostruzione dei fatti da un punto di vista storico, le motivazioni che fecero cadere la scelta su Alvaro e le mie ipotesi su quelle occasionali che lo spinsero alle dimissioni; mi soffermo solo sulle motivazioni di fondo che spinsero Alvaro alle dimissioni e sugli effetti che il gesto provocò in ambito politico governativo, nella stampa e nella società. Alvaro è il primo giornalista della storia del giornalismo italiano che si ribella alle prevaricazioni del governo e dei partiti nell’informazione. La notizia delle dimissioni viene battuta dall’ANSA il 24 marzo 1945 e pubblicata qualche ora dopo da Stampa Sera. Il giorno dopo, nella edizione del mattino, La Stampa pubblica la lettera integrale di Alvaro indirizzata al Commissario governativo Luigi Rusca che lo aveva nominato.

«Caro commissario, tu mi avevi invitato a dirigere un giornale radio indipendente, libero di informare il pubblico democraticamente, e che soltanto nei grandi problemi di interesse nazionale non agisse in contrasto col governo. Ho dovuto affrontare, nei pochi giorni del mio lavoro, inopportuni interventi che miravano a limitare o ad annullare proprio questa libertà di informazione. In ultimo poi, tu e uno dei nostri principali collaboratori, vi siete impegnati acché io ricevessi, ogni sabato, dall’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio, indirizzi e suggerimenti di massima. Il nostro collaboratore, che da tempo sostiene la necessità di una radio priva di sue fonti di informazione autonome e limitate a quelle ufficiose ed ufficiali, ha posto la scelta fra lui, che gode della fiducia della Presidenza del Consiglio, e me, che ho solo le mie convinzioni in fatto di radio in regime di democrazia, cioè libere. Su di esse non posso transigere e perciò rinuncio all’incarico affidatomi dalla tua fiducia».

Fu un gesto clamoroso e coerente con le precedenti esperienze a Il Mondo, di Pannunzio e, specialmente con quella vissuta come direttore de Il Popolo di Roma, durante i 45 giorni del governo Badoglio, quando si schierò apertamente contro la censura preventiva del MinCulPop. Sulle motivazioni di fondo Enzo Forcella, nell’articolo Portavoce o altoparlante?, pubblicato nel 1984 su Il Messaggero, evidenzia la censura che Alvaro subiva dal commissario Luigi Rusca e Paolo Treves, il caporedattore:

 «Il controllo che Alvaro subiva da parte di Treves e Rusca era insopportabile. Rusca, il commissario, passa quotidianamente nel suo ufficio per controllare tutto ciò che va in onda. Un giorno gli censura una notizia sulla cifra che il governo potrebbe ricavare dalla confisca dei profitti di regime perché essa non proviene da fonti ufficiali e potrebbe alimentare lo scontento. Un altro giorno, sempre a proposito dei profitti di regime, blocca un’altra notizia proveniente da fonti ministeriali ma non gradita a uno dei partiti della coalizione».

Per diversi giorni la notizia delle dimissioni tenne banco sui giornali di ogni estrazione politica con toni fortemente polemici. Si crearono due fronti contrapposti, l’uno a favore di Alvaro, l’altro contro. La polemica gradualmente sfociò nella riflessione radio di stato o radio privata? Per la prima volta nella storia della RAI si apriva il dibattito sul tema ancora oggi vivo e cogente. Fu sentito anche dall’opinione pubblica al punto che la RAI avvertì la necessità di promuovere un sondaggio. Lo fece pochi mesi dopo le dimissioni di Alvaro, attraverso il nuovo Radiocorriere guidato da Jader Jacobelli e Luigi Greci. I principali quesiti riguardarono la radio di Stato o privata, e la libertà di informazione o meno che la radio doveva avere. Risposero gente comune, intellettuali e giornalisti, fra i quali, ovviamente lo stesso Alvaro e Ignazio Silone per citarne due di opposta convinzione. Secondo Alvaro

«La personalità di un direttore del “Giornale Radio” è quella di un grande editore collocato a quel posto dalla fiducia degli azionisti e del governo, che abbia responsabilità e riconosciuta dirittura professionale, che abbia la figura, se non il rango, di un alto magistrato. Il giornale Radio nella mia idea dovrebbe riservare una trasmissione quotidiana, dichiaratamente ufficiale, alle comunicazioni del governo; la tecnica di tale trasmissione dovrebbe essere cura della redazione del Giornale Radio, all’infuori di ciò, il direttore dovrebbe condurre il suo giornale coi criteri di un grande giornale responsabile, cioè con uno scelto e originale notiziario, coi servizi suoi, avendo per iscopo l’informazione, l’educazione, l’istruzione del Paese in tutti i problemi che lo riguardano e negli interessi che lo toccano».

Ignazio Silone, antifascista, esprimeva, invece, la sua preferenza per una radio di Stato. «Teoricamente mi piacerebbe che la radio fosse libera e che fra le varie società radiofoniche ve ne fosse anche una di stato, in libera concorrenza con le altre, con scopi suoi da raggiungere più o meno utopistici. Teoricamente però, poiché in realtà in Italia non è consigliabile mettere la radio in mano al capitale privato che, in fin dei conti, non sarebbe altro che quello delle grandi banche. Quindi io sono per una radio di stato, o meglio per una radio gestita da un ente di diritto pubblico».

I risultati del sondaggio furono sorprendenti. La maggior parte delle risposte furono a favore della radio di Stato. «Se la storia servisse a qualcosa – scrive Enzo Forcella – questa sarebbe soltanto una pagina di cronaca riesumata dalle vecchie collezioni dei quotidiani (e tra l’altro, stranamente ignorate nei libri che sono stati dedicati alla radio dell’epoca). Ma la storia non serve a niente ed è per questo che dopo quarant’anni (l’articolo è del 1984, ndr), ci troviamo ancora alle prese con analoghe vicende e problemi».
Cosa accade, quarant’anni dopo, è sotto gli occhi di tutti. Le posizioni coraggiose e innovative di Alvaro di 80 anni fa, le sue dimissioni, i suoi inviti alla responsabilità, a un’informazione libera dal Potere politico, attenta al pluralismo e agli interessi e ai problemi del Paese, apparirebbero oggi, davvero, utopiche ed eretiche, quasi sovversive. 

Vito Teti racconta Corrado Alvaro

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