Trieste è una città affascinante e ricca di storia ed è situata nell’estremo Nord-Est d’Italia, in Friuli-Venezia Giulia, di cui dal 1963 è il Capoluogo di Regione. Essa è proiettata sul mare Adriatico e possiede un importantissimo Porto commerciale, che nel solo 2024 ha movimentato circa 55 milioni di tonnellate di merce; tale Porto è altresì utilizzato anche per il turismo, come meta di numerosi visitatori e frequenti scali crocieristici.
Alle sue spalle si estende il Carso, un altipiano composto da rocce calcaree ed una vegetazione di arbusti, cespugli e pini, nonché panorami sconfinati. Sono altresì presenti sia numerose doline (avvallamenti creati dal crollo del terreno per l’azione della pioggia), che grotte sotterranee. Dal Carso soffia inoltre su Trieste la Bora, un vento gelido e impetuoso, che modella il clima della città e le conferisce un’atmosfera fredda e unica.
Questo contrasto crea un effetto di grande impatto visivo, dove il blu del mare si fonde col grigio della pietra. Ma Trieste è ancora qualcos’altro. Innanzitutto, ha dato i natali a poeti come Umberto Saba, a scrittori come Italo Svevo, Claudio Magris e numerosi altri. Inoltre vi sono nati personaggi illustri in vari campi fra cui, per citarne alcuni, l’astrofisica Margherita Hack, il regista teatrale Giorgio Strehler e il giornalista e critico letterario Piero Dorfles.
In questo crogiolo di vivacità culturale e fascino cosmopolita, in cui convivono influenze austriache, slave e italiane, in una città sostanzialmente piccola, che supera di poco i 200.000 abitanti, fervono attività imprenditoriali e culturali, tanto da farne indiscutibilmente una delle più vivaci del Nord-Est.
Ed è proprio a Trieste, sull’altipiano carsico, a metà strada tra i Rioni di Opicina e Santa Croce, che si trova un piccolo quartiere di circa 1.350 abitanti, il cui nome è conosciuto in tutta Italia ed in buona parte del mondo, infatti esso è: “Prosecco”. Questa singolare particolarità deriva dalla secolare coltivazione di un vitigno, denominato “Glera”, che è divenuta appunto la fondamentale componente vinicola per gli spumanti Prosecco DOC e DOCG prodotti in Friuli ed in Veneto. Comunque sia, né il Capo ‘ndrina Don Bastiano Pantisano, né tantomeno i suoi compari, Cosimo Trapezio, per i suoi 146 chili noto come “Ferryboat”, uomo di fiducia e braccio destro del Boss, Amato Quattrocento, detto “Nacatola”, Attila Tamburo, soprannominato “Pancreas” e Loredano Saponetta chiamato “Centoventisette”, erano in grado, a causa della loro totale ignoranza, di apprezzare le bellezze storiche, naturali e artistiche della città.
Infatti essi, partiti prima dell’alba dalla Contrada “Schiavo” di Ardore Marina, in provincia di Reggio Calabria il 21 novembre 2015, si trovavano in” trasferta” a Trieste per precisa volontà del Boss, senza conoscere affatto il motivo dello sfiancante viaggio di 1339 chilometri, durato oltre 13 ore e mezza, e delle ragioni della loro permanenza in città.
L’unica cosa certa era che il trasporto si era svolto con due veicoli differenti. Il primo era il SUV di Ferryboat con tre passeggeri a bordo: il proprietario del fuoristrada stesso, il Capobastona Pantisano e Nacatola. Mentre il secondo mezzo era un autoarticolato “Mercedes-Benz Actros 1845” con motore “OM 471”, guidato da Centoventisette, con al suo fianco Pancreas, il cui misterioso utilizzo del camion non era stato reso noto a nessuno dei presenti da parte del Capo ‘ndrina.
Così, giunti nella città adriatica, i cinque uomini d’onore per prima cosa presero alloggio, naturalmente esibendo documenti falsi, nell’hotel a due stelle “Nuovo Albergo Centro” in via Roma 13, a pochi passi da Piazza Unità d’Italia, il quale aveva sia il pregio dell’anonimato, che una comoda e vantaggiosa posizione topografica. Successivamente, fattosi notte, si recarono a cena presso la vicina “Trattoria da Giovanni”, affamati come lupi ed assetati più del deserto del Sahara. Durante il tragitto, Nacatola si lamentò molto del vento gelido che spirava, e prese solenne impegno di fronte a tutti i compari che “se avisse trovato il responsabilio dell’aria condizionata in città chiamato Bora, e si rifiuta di alzari la timperatura di almeno dieci gradi, giuro ca gli sparo dui proiettili in testa!”. Comunque sia, giunti alla trattoria, tutti restarono incuriositi dal singolare menù, il quale non prevedeva né pasta al forno, né fileja con ragù di capra, né tantomeno capretto arrosto.
Allora, per forza di cose, e timorosi di contrarre una diarrea da sfondare la tazza del cesso, si adattarono a mangiare, chi più chi meno, i piatti della cucina locale. Ferryboat non fece molti complimenti ed ordinò due piatti di “Jota” (una zuppa a base di crauti, fagioli, patate e carne di maiale affumicata), tre di “Gulasch” (spezzatino di manzo con cipolla, paprika e spezie), due di “Caldaia” (bollito misto di carne di maiale con crauti e senape) e come dolce due porzioni di “Strucolo” (una sorta di Strudel con mele, noci e uvetta) e ancora tre di “Presnitz” (dolce a base di pasta sfoglia ripiena di noci, mandorle, fichi secchi e spezie). Il tutto annaffiato con un litro e mezzo di “Terrano” (un vino locale DOC rosso rubino).
Mentre Cosimo Trapezio onorava con gusto i suoi 146 chili di peso, gli altri si limitarono chi, come Pancreas, ad un semplice “Gulasch”, conosciuto per sentito dire, mentre il resto dei compari optarono per dei sani e per niente tipici rigatoni al ragù. Solo il Boss seguì, incurante dei timori altrui, l’esempio di Ferryboat, ordinando anche lui “Jota”, “Gulasch”, “Caldaia” e, per distinguersi, anche “Cevapcici” (polpettine di carne macinata speziate) e “Prosciutto in crosta” (Spalla cotta avvolta in una crosta di pane e spezie). A causa dell’incipiente diabete, saltò però i dolci, e per bere scelse una bottiglia di “Vitovska” (un vino bianco secco e fruttato).
Finita la cena, tutti tornarono in albergo, con Nacatola pronto a sparare se avesse individuato il malvagio Bora che, secondo lui, in qualità di addetto all’aria condizionata cittadina, si ostinava a non alzare la temperatura, facendoli gelare da uno sferzante vento ghiacciato. Giunti in hotel, il Boss prima di mandarli tutti a letto, poiché si era fatta l’una di notte, ordinò loro di trovarsi, la mattina successiva, alle otto e mezza precise nella hall dell’albergo, dove avrebbero ricevuto le consegna su cosa fare in giornata.
Così, dopo una ricca colazione fatta da Ferryboat intorno alle 7.45 con tre cappuccini, tre “Putizza” (un rotolo ripieno di noci, uvetta, pinoli e rum) ed altrettante “Zavate Carsoline” (un dolce cremoso da mangiarsi al cucchiaio), conclusasi con un rutto che fece tremare i vetri delle finestre, e dei miseri cappuccini con cornetti consumati dagli altri, alle 8 e 30, come ordinato dal Capocosca, si ritrovarono tutti nella Sala d’ingresso del “Nuovo Albergo Centro”. Don Bastiano era già lì ad attenderli, e dopo un rapido saluto ai compari, li informò su quali erano i compiti da eseguire per la giornata. “Tu e tu -disse rivolgendosi a Centoventisette e Pancreas-, andrete con l’autoarticolato a Reana del Rojale, in provincia di Udine, e vi recherete al “Toys Center”. Lì dovrete chietere del signor Pierpino Balbuzio, il quale, già da me contattato e liutamente pagato, vi farà carichiare il camion con alcune centinaia di scatole di cartone, chi è ciò chi ci servi per la nostra missioni. Vui starete muti e senza fari domandi sul caricho, né a mia né a lui. Ed alla fini tornereti qua”.
“Nacatola,tu inveci -continuò Don Pantisano- ti recherai nel cuartiere di “Rozzol Melara” e chieterai di Mastro Curt Baionetta e, una volta nel suo lavoratorio , ti farai fari, con i 600 euri che ti darò una targa olandisi farsa, il cui nummero è scritto in cuesto foglietto. Mi raccomanto: che cuello è un cuartiere difficili: tieni l’occhi aperti”. Raccomandò infine il Capocosca.
“Nun c’è problema -rispose il compare-. Io ho con me una Beretta calibro novi, perchì se incontro il dannato Bora lo riempio di piompo. E se cualcuno della zona mi darà fastitio, farà la stissa fini”. “Inoltre -proseguì Don Pantisano-, una volta finito con Curt, ti richerai all’”Autonoleggio Hertz” e con i documenti farzi chi già possieti, affitterai per tri giorni una qualsiasi utilitaria chi non dia nell’occhio ai sbirri”. “Inveci -proseguì il Boss- io e Ferryboat antremo a parlari con alchiuni amici con cui sono in affari per chista delicata operazioni”, senza però specificare ancora una volta di che “operazione” si trattasse, lasciando tutti con più curiosità che capelli in testa, ad eccezione di Pancreas che era praticamente calvo. Così i due si recarono in taxi nell’imponente e meraviglioso Porto Franco di Trieste, dove all’ingresso di uno dei numerosi varchi pedonali e carrabili, li attendevano, in un’area alquanto in ombra, tre uomini, due dei quali armati e in divisa da sorveglianti, che si presentarono con nomi quali “Tiramisù” e “Centovetrine”, mentre il terzo del gruppo, vestito con eleganti abiti civili, si faceva chiamare “Colt 45”. Naturalmente Don Bastiano sapeva i loro nomi e le relative funzioni svolte nel porto, ma avevano preso accordi precisi affinché, data la rischiosità dell’operazione, egli fosse l’unico a conoscere le loro vere identità. Dopo i debiti saluti, il Boss tirò fuori dalla tasca interna della giacca tre buste, contenenti 5.000 euro ciascuna e li consegnò ad ognuno di loro, precisando che “Gli artri diecimila li ‘vrete a cose fatte!”. Dopodiché, mandato Ferryboat a prendere un caffè, i quattro si appartarono ancora più all’ombra e parlarono fittamente per oltre mezz’ora. Lungo la strada di ritorno, Cosimo Trapezio, con il suo mutismo, fece intendere a Don Bastiano di essersela presa per non aver potuto prendere parte alla discussione. Ma il Boss lo zittì subito con queste parole :”Un uomo d’onore non parla si non è ‘nvitato, non chiete se non è in punto di morti e non si offenti se non è un quaquaraqà”. Capitolo chiuso. Alle nove di sera del 22 novembre 2015, l’autoarticolato era tornato con il suo misterioso carico, Nacatola si era fatto fare la targa falsa richiesta e prontamente consegnata al Boss, ed aveva inoltre affittato una “Fiat 500L”, come da ordine ricevuto, mentre Ferryboat ingannava il tempo mancante mangiando mezzo chilo di formaggio “Montasio DOP” e trecento grammi di “Pecorino del Carso”, ma bevendo solo acqua minerale per mantenersi lucido. Così tra una chiacchiera e l’altra, tutti a digiuno per la tensione, escluso Trapezio, attesero che si facessero le due del mattino, Allora presero la macchina noleggiata e si recarono tutti, escluso Centoventisette che guidava l’autoarticolato a cui era stata sostituita la targa, all’entrata secondaria del Porto, dove aveva avuto luogo l’incontro con i tre “collaboratori” la mattina precedente. Uno dei due vigilanti, “Centovetrine”, li aspettava e appena giunti, li guidò nel modo più prudente e guardingo possibili, attraverso stradine e corridoi, da lui conosciuti a menadito, in cui poteva transitare anche l’autoarticolato senza che nessuno li vedesse. Arrivarono così ai margini di un grande spazio illuminato, dove erano parcheggiati, in file parallele dozzine di camion di tutte le marche e dimensioni, in attesa dei controlli Doganali e della Finanza. Don Bastiano e i suoi non avrebbero certamente saputo come orientarsi, se in loro soccorso non fosse giunto l’uomo elegante, definitosi “Colt 45”, ed incontrato anch’egli la mattina. Questi, un alto funzionario del Porto, chiese loro il nome della nave giunta in serata dalla Turchia. Esso era “Izmir”, come il Capo della mafia turca Baris Boyun, compare del Boss, gli aveva comunicato, fornendogli anche il modello e la targa del camion da cercare. Il Capobastone informò di tutto questo “Colt 45”, ed a lui bastarono pochi minuti per rintracciare l’autoarticolato posteggiato proprio in prima fila e con dentro l’autista, probabilmente addormentato nella cuccetta dietro i sedili.
A questo punto entrò in scena il terzo dei tre “collaboratori”, il vigilante armato definitosi “Tiramisù” che, in gran silenzio e con un passamontagna sul capo, aprì lo sportello dell’autoarticolato e, minacciando con la sua “Smith & Wesson calibro 357 magnum” il conducente turco, oramai sveglio e pisciatosi addosso per la paura, lo costrinse prima a spogliarsi e poi gli legò mani e piedi con una robusta corda, imbavagliandolo successivamente con un enorme cerotto.
L’atto successivo di “Tiramisù’, un uomo alto ed aitante, fu quello di prendere di peso il conducente turco ed adagiarlo supino sui sedili dell’autoarticolato guidato fino ad allora da Centoventisette. Il finale dell’operazione, condotto sempre da “Tiramisù”, consistette nel sostituire con perizia e manovre da guidatore consumato, il camion con targa farlocca con l’autoarticolato sbarcato dalla nave “Izmir e consegnare le chiavi di quest’ultimo mezzo nelle mani di Don Bastiano.
A questo punto, guidati ancora una volta da “Centovetrine”, la “Fiat 500L” seguita dall’ autoarticolato proveniente dalla Turchia e guidato da Centoventisette, fecero il percorso inverso e, giunti all’uscita del Porto, Don Pantisano espresse la sua riconoscenza agli “amici”, consegnando alla loro guida tre buste, contenenti 10.000 euro ciascuna.
L’atto successivo fu quello di tornare con i due veicoli al “Nuovo Albergo Centro”, riprendere i pochi bagagli, pagare il conto e lasciare le chiavi della “Fiat 500L” al portiere, chiedendogli la cortesia di telefonare all’”Autonoleggio Hertz” affinché venissero a ritirarle. A questo punto la comitiva composta dal SUV di Ferryboat con a bordo il Capo ‘ndrina e Nacatola, seguiti dall’autoarticolato olandese, con Centoventisette alla guida e Pancreas al suo fianco, partirono per il lungo viaggio che li avrebbe ricondotti ad Ardore Marina.
Dopo una cinquantina di chilometri, mentre spuntava l’alba del 23 novembre 2015, Don Bastiano ordinò di fermarsi al più vicino Autogrill da dove, in un telefono pubblico e con una scheda prepagata, chiamò la redazione del “Il Piccolo” di Trieste dicendo “Cuesta notte la Guardia di Finanza ha sequestrato 800 fucili a pompa, nascosti in altrettanti scatole nel retro di un autiaricolto con targa olandisi provinienti dalla Turchia con la navi “Izmir”. Controllati”.
Naturalmente l’informazione fece sì che il Direttore inviasse subito sul luogo un cronista. Ed appena questi verificò che la Guardia di Finanza stava ispezionando con numerosi uomini, un camion corrispondente alla telefonata ricevuta, la notizia del sequestro delle armi venne subito pubblicata sul sito de “Il Piccolo”. Purtroppo per i Finanzieri però, ciò che trovarono nel retro del camion furono solo 800 scatole di cartone contenenti altrettanti fucili a pompa, ma di plastica e col logo “Toys Center”.
Pertanto, per non perdere la faccia, il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Trieste, rilasciò un comunicato in cui si diceva che 800 fucili a pompa provenienti dalla Turchia e destinati in Olanda, erano stati effettivamente sequestrati nella notte del 22 novembre 2015 e, per la loro pericolosità, immediatamente distrutti in un inceneritore.
Così, sentendo la notizia per radio, anche gli uomini d’onore di Don Bastiano, ancora in viaggio sia nel SUV che nell’autoarticolato, capirono finalmente la natura della misteriosa “operazione” in cui erano stati coinvolti, consistente in un incredibile scambio di autentici fucili con i pacchi forniti dalla “Toys Center”, e del rischioso carico che stavano trasportando.
Ed una volta giunti ad Ardore Marina senza inconvenienti, per ringraziarli dell’importante sostegno ricevuto, il Boss regalò a ciascuno di loro dieci scatole contenenti ciascuna un fucile a pompa. Ma giunti a casa ed apertole, i quattro uomini d’onore si accorsero purtroppo che anch’essi erano di plastica e con il logo “Toys Center”.
Don Bastiano nelle sorprese non si smentiva mai.
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