REGGIO EMILIA «Perché sotto è diversa la ‘ndrangheta…». La criminalità calabrese che si evolve e si adatta anche quando travalica i confini regionali: più silenziosa, meno violenta e più “camaleontica” per infiltrarsi meglio nell’economia. A spiegarlo è il boss Giuseppe Arabia, arrestato nell’operazione Ten scattata lo scorso 12 marzo in Emilia Romagna. Dalle indagini emergono alcune conversazioni intrattenute dallo stesso “Pinu u nigru” con altri presunti esponenti della ‘ndrangheta o soggetti contigui ai clan calabresi, in cui si discute delle dinamiche ‘ndranghetiste in terra emiliana. Anche i collaboratori di giustizia finiscono nel mirino degli interlocutori, rei di essere andati contro le regole di ‘ndrangheta che vietano ogni tipo di collaborazione con lo Stato.
Emblematica, secondo gli inquirenti, la descrizione che Pino Arabia fa sulla «capacità di adattamento della ‘ndrangheta nell’operare al di fuori dei confini della Calabria». «Sotto è diversa la ‘ndrangheta…» avrebbe detto, riferendosi al fatto che nel territorio di origine per determinati reati non si sarebbe neanche finiti in galera. Un’espressione che per gli inquirenti sintetizza in modo efficace «la capacità della di adattarsi al territorio in cui sviluppa la sua azione, prendendo sembianze meno violente e tradizionali di quelle adottate presso la terra madre».
In un altro passaggio Arabia ricostruisce alcuni episodi legati alla condanna rimediata nel processo Grande Drago, sostenendo di «avere la lista di tutti coloro che hanno testimoniato contro di lui», compresi i collaboratori di giustizia. Ma, soprattutto, parla di un testimone preciso, una delle prime vittime di estorsione ad aver parlato durante il processo. Nei suoi confronti Arabia avrebbe attuato «una brutale aggressione a mano armata per vendetta». L’episodio non è stato, tuttavia, denunciato dalla vittima. Per gli inquirenti però «va esclusa la residuale ipotesi di una millanteria» raccontata dal presunto boss «alla luce dell’assenza di qualsiasi motivo che avrebbe dovuto indurre Arabia a vantarsi di fatti inesistenti».
Nel mirino anche i pentiti calabresi, tra cui Rocco Gualtieri e Salvatore Angelo Cortese. In particolare, «con disappunto» viene sottolineato «come negli ultimi tempi la ‘ndrangheta originaria di Cutro avesse prodotto nuovi collaboratori di giustizia, mentre nel passato non ve ne erano stati». Emblematico è il racconto da parte di Arabia, in un’altra conversazione, di un episodio in cui un esponente di ‘ndrangheta per vendicare la morte del fratello «si era comportato come un infame, perché, contravvenendo, di nuovo, alle regole ‘ndranghetistiche, aveva cercato, presentandosi con un registratore indosso, di far arrestare il boss Carmelo Bellocco», appartenente all’omonima cosca egemone nella Piana di Gioia Tauro. Una “trappola” per nulla gradita da Arabia, che con il suo interlocutore ribadiva nuovamente le «fondamentali regole auree della ’ndrangheta: non collaborare con lo Stato e non risolvere controversie ricorrendo Forze dell’ordine». (ma.ru.)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
Senza le barriere digitali che impediscono la fruizione libera di notizie, inchieste e approfondimenti. Se approvi il giornalismo senza padroni, abituato a dire la verità, la tua donazione è un aiuto concreto per sostenere le nostre battaglie e quelle dei calabresi.
La tua è una donazione che farà notizia. Grazie
x
x