COSENZA Forse in pochi se ne saranno accorti, ma Stefano De Angelis nel campionato maltese sta collezionando un’infinità di successi. Con il suo Birkirkara, squadra che allena dalla scorsa estate, occupa al momento il primo posto nel torneo di chiusura, dopo essere arrivato secondo in quello di apertura. «Vogliamo arrivare alle Final Four per giocarci il titolo di campioni, sarebbe un traguardo di non poco conto per una società che ha speso molto meno di squadre come il Floriana, l’Hamrun Spartans, lo Sliema Wanderers», ci dice da Malta il tecnico romano, trapiantato da anni a Cosenza, mentre è in compagnia del suo inseparabile vice Alessandro Caridi, ex calciatore di Rende, Vibonese, Vigor Lamezia, Hinterreggio, Nocerina e Monopoli, che ha deciso di seguire in questa avventura estera il suo amico Stefano. Quest’ultimo, dopo aver vestito da calciatore le maglie di Cosenza, Cagliari, Salernitana, Genoa, Catanzaro e Avellino, dal 2011 ha iniziato la carriera di allenatore raggiungendo subito degli ottimi traguardi. Con il Cosenza in Lega Pro è andato vicino alla promozione in B, poi la bella esperienza con la Primavera del Bari (fermata solo in semifinale dal Cagliari) e il ritorno a Cosenza sempre per guidare la Primavera. Nel 2020 la vittoria del campionato di Eccellenza con il San Luca che ha conquistato la prima promozione della sua storia in D.
«Questo è il mio terzo anno a Malta – ci dice De Angelis – e ci stiamo togliendo delle belle soddisfazioni. Negli anni precedenti ho avuto la fortuna di lavorare con l’Hamrun Spartans. Abbiamo vinto due scudetti e fatto un ottimo cammino il primo anno in Conference, perdendo la finale play-off contro il Partizan Belgrado. L’anno scorso, purtroppo, nei preliminari di Champions League abbiamo beccato l’avversario peggiore, il Maccabi-Haifa, e non c’è stata partita per tante situazioni. Quest’anno, la società del Birkirkara ha chiesto a me e al mio staff di arrivare tra le prime tre ed entrare in Europa. Stiamo facendo di più, ma il difficile viene adesso perché ci stiamo giocando campionato, Coppa di Malta e ovviamente la qualificazione o alla Champions o alla Conference League».
«Sicuramente. È un’avventura importante sia dal punto di vista calcistico che umano. Qui vivo in un ambiente multirazziale, sia dentro che fuori dal campo di gioco. Ho l’opportunità di allenare atleti che vengono dall’Africa, dall’America e dall’Europa. In squadra ho anche due calciatori italiani. Insomma, culture miste che si uniscono per correre dietro a un pallone. Cose che accadono soprattutto nei grandi club europei. Un percorso che, inevitabilmente, sta allargando i miei orizzonti, mi sta facendo conoscere tanti modi di vivere differenti».
«L’approccio dei calciatori alle partite è completamente diverso rispetto all’Italia. Da noi è assurdo che prima di una gara arrivi lo speaker nello spogliatoio con la musica sparata al massimo. Qui, invece, è naturale, ed è una cosa che ho fatto anche mia. Se dovessi tornare in Italia, ripeterei questa pratica. È vero, ognuno può trovare la concentrazione a modo suo, ma in Italia forse esasperiamo tutto cercando la perfezione o l’ago nel pagliaio quando le cose vanno male. Anche qui, soprattutto in società di spessore come la mia, le pressioni esistono, abbiamo una grossa tifoseria. Ma si tende a non ingigantire ogni aspetto del nostro lavoro».
«Si, con me ci sono il mio vice Alessandro Caridi e Giuseppe Saccà come preparatore atletico, un ragazzo in gamba nonostante la giovane età, che ha lavorato con la Reggina. Sono ragazzi professionali, instancabili. Per loro si tratta di un’esperienza del tutto nuova e non sempre facile, ma mi stanno dando una mano impressionante. Alessandro sta portando anche la sua esperienza da calciatore che, all’interno di uno spogliatoio ricco di culture differenti come il nostro, serve tantissimo».
«Sono stato a un passo dal grande calcio quando ho allenato il Cosenza in Lega Pro, sfiorando un’impresa che nessuno poteva immaginare. Siamo arrivati quinti in campionato, ai playoff abbiamo eliminato un Matera che aveva speso tantissimo, e ai quarti siamo usciti immeritatamente contro il Pordenone. In quella gara di ritorno ci furono vari eventi sfavorevoli: Baclet che sviene in campo, il gol regolare di Letizia annullato che ci avrebbe permesso di passare il turno. Però, è vero, in quegli anni un pizzico di fortuna in più mi avrebbe potuto aiutare a raggiungere traguardi più prestigiosi. Non ho avuto molte richieste e non so il motivo. O forse lo so, ma è inutile pensarci. Il calcio è un mondo particolare, tante scelte sono legate a fattori esterni che spesso con le competenze e la meritocrazia hanno poco a che fare. Tanti allenatori falliscono continuamente e si ritrovano sempre ad alti livelli, mentre tanti altri che meritano non vengono mai presi in considerazione. Ma non mi lamento, col tempo ho avuto la possibilità di guidare squadre importanti di serie D, la Primavera del Bari dove abbiamo sfiorato l’impresa di vincere il campionato. In quella squadra spiccava Lella che oggi è uno dei migliori centrocampisti della serie B».
«È vero, ho avuto tre chiamare, a dicembre una anche dal girone B della serie C, un club con una storia importante alle spalle. Ma ho rifiutato, soprattutto per correttezza nei confronti della società e dei ragazzi del Birkirkara, molti dei quali sono qui grazie a me. Non avrei lasciato neanche per il Milan una situazione che ho messo in piedi io partendo da zero, insieme all’aiuto della società e del mio staff. Per il momento sto bene così, poi a giugno vedremo ciò che accadrà. Ovviamente il mio sogno, prima o poi, è quello di rientrare in Italia con un progetto serio».
«No, in quel caso farei subito il biglietto aereo. Al Cosenza non si dice no».
«La mia squadra spesso gioca in contemporanea con il Cosenza, io ogni volta che finisce la mia partita la prima cosa che faccio è informarmi sul risultato dei Lupi. Si tratta di una squadra e una città a cui sono legatissimo. Dispiace vedere questa situazione di classifica, credo che la stagione sia ormai segnata, soprattutto dopo la batosta subita nel derby, servirebbe un miracolo per la salvezza. La speranza è l’ultima a morire, ma la vedo dura da qui in avanti. Probabilmente è ora di cambiare, ripartendo anche da una serie inferiore. Non lo dico io, ma è la storia a parlare. Credo che l’intera città abbia bisogno di questo per ritrovare quell’entusiasmo che Cosenza ha e sa dare come poche altre realtà alla propria squadra. Cosenza non merita di fare ogni anno campionati stentati o retrocessioni quasi annunciate. Conosco molti calciatori, su tutti Tommaso D’Orazio con cui parlo spesso, so che stanno dando l’anima, ma più di così non possono fare. L’ambiente ostile nei confronti della società sicuramente non li sta aiutando come accaduto in passato. Ripeto, si spera ancora in un miracolo, ma lo sconforto generale è evidente».
«Sì, leggendo sui media, ho avuto anch’io questa sensazione e mi rendo conto che si è arrivati a un punto di non ritorno. Ripeto, per la città, per il Cosenza calcio e anche per lo stesso Guarascio che è contestato duramente dall’inizio del campionato, credo sia arrivato il momento di un cambio radicale. Con la retrocessione questa divisione tra le parti aumenterà sicuramente».
«A Catanzaro funziona la società, la differenza è questa. Lì tutti gli allenatori fanno bene. Quando c’è un’organizzazione solida che viene da anni di lavoro serio, è difficile sbagliare i campionati. Ricordo che a inizio anno ci sono state un po’ di polemiche per le partenze di Vivarini e di alcuni calciatori, ora tutti sono felici. Caserta è un allenatore molto bravo. Nei momenti di difficoltà che non sono mancati, ha saputo rimboccarsi le maniche ripartendo con umiltà. Ma ha potuto farlo perché alle spalle aveva una dirigenza di spessore». (f.veltri@corrierecal.it)
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