«Per tutti quelli che hanno a cuore non solo le proprie sorti personali ma anche quelle delle proprie comunità; per coloro i quali avvertono che la politica sia e debba essere quella religione civile evocata da Calamandrei, l’incontro a Rende che ha visto grande protagonista Sandro Principe non può che rappresentare un rinvigorente momento di speranza, anche in barba a chi ha pensato di imporre divisive unificazioni.
La partecipazione, l’ascolto, la capacità di tenere alta l’attenzione per oltre un’ora di buona politica, danno conto, di questi tempi, di un momento eccezionale che avvicina le persone agli amministratori (seppure, ad oggi, soltanto in animo). Come Sandro Principe a Rende, così Doris Lo Moro a Lamezia, Roberto Perrotta a Paola e Giuseppe Aieta a Cetraro. Non può sfuggire che Rende non è un caso isolato.
È presente, quanto meno alle nostre latitudini, il sentimento di una forte necessità di ritorno verso ciò che ha già dimostrato di sapere meglio rappresentare le capacità e le identità dei cittadini: non si tratta solo di persone – mai secondarie – ma di speranze e di bisogni. A voler condurre una seria e accorta analisi, bisognerebbe indagare le ragioni che portano le comunità locali a rifiutare quelle forme semplicistiche dei cosiddetti rinnovamenti e superamenti, per riparare verso ciò che è stato di riconosciuto successo. Altresì non può sfuggire che questo sentimento di riparo nel miglior passato non è il canto del cigno di una classe politica in logoramento, ma, anzi, rappresenta, nella maniera più limpida, la sconfitta della fallace politica dei sedicenti “nuovi” e il deserto che costoro, nei rispettivi partiti e agglomerati civico-politici, hanno creato attorno a sé.
È significativo, infatti, che a tale approdo si giunga dopo aver attraversato i mari della rottamazione di Matteo Renzi (il quale ha saputo dimostrare le sue migliori doti politiche quando è sceso a percentuali ad una cifra) e quelli della soltanto annunciata rivoluzione grillina, che, soprattutto nei territori, non ha saputo esprimere doti del livello dei “vecchi” – così parlò il genovese. Certamente le candidature sono soltanto un segnale, saranno poi i cittadini a determinare il successo o meno di questa spinta verso il meglio che fu: nel frattempo, il dato che si certifica è che i partiti di oggi non hanno saputo esprimere nulla di meglio rispetto ai partiti di ieri. In attesa dell’esito delle urne, quindi, non resta che un monito: se si vuole ritrovare e rinvigorire lo spirito, politico e partecipativo, che salva la Repubblica democratica, bisogna che i partiti, tutti, ma soprattutto quelli del centrosinistra, abbandonino l’autolesionista linea apostatica, sussiegosa e castigatrice, della a-politica. In tempi di certificazione di più alta perdita del potere d’acquisto nell’ambito del G20 e di minimi tassi di occupazione rispetto ai nostri fratelli europei, ciò che qualcuno, con tono sprezzante, chiama restaurazione, potrebbe in realtà essere istinto di sopravvivenza.
*Avvocato e socialista
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