LAMEZIA TERME L’evoluzione del contesto mafioso del Crotonese e la sua proiezione in altri territori italiani con un «rinnovato assetto» all’indomani delle numerose operazioni anti-ndrangheta. È quello che gli inquirenti della Distrettuale antimafia di Catanzaro – diretti dal procuratore Salvatore Curcio – hanno ricostruito nell’inchiesta “Folgore-Blizzard” conclusasi all’alba di oggi con l’arresto di 17 soggetti, su disposizione del gip del Tribunale di Catanzaro Arianna Roccia. Per il procuratore capo della Dda del capoluogo, si tratta di «un’indagine importante perché dimostra ancora una volta la diffusione e la capillarità della ‘ndrangheta a livello nazionale e internazionale».
Tra i tanti soggetti interessati dall’inchiesta, è emersa in particolare la figura di Luigi Masciari (cl. ’81), «soggetto intraneo al sodalizio mafioso» e particolarmente attivo nel Nord Italia, quale amministratore (anche di fatto) di numerose imprese, operanti in disparati settori economici, e «funzionali alla commissione di illeciti di natura finanziaria, i cui proventi venivano, in parte, destinati alla cosca», secondo l’accusa. Masciari, pur essendo intraneo alla ‘ndrangheta in conseguenza dell’affiliazione del padre Francesco, sarebbe stato “battezzato” formalmente da Francesco Antonio Arena (cl. ’37). In una conversazione, lo stesso Masciari nel rimarcare di avere ricevuto «svariate proposte da diverse fazioni di Isola» per la sua affiliazione, spiegava agli interlocutore che, a suo avviso, «gli affiliati piuttosto che mirare a ottenere l’investitura formale avrebbero dovuto impegnarsi a conseguire profitti».
Partendo da Masciari, gli inquirenti hanno così ricostruito le molteplici relazioni con altri membri della cosca: i rapporti familiari con gli Arena per parte materna, quelli con i Nicoscia per il tramite della moglie e poi le interazioni con il co-indagato Antonio Francesco Arena, figlio di Pasquale detto ‘’Nasca”, considerato «intraneo la locale da 15 anni», le relazioni con Rosario Salvatore Iuliano, con il quale avviava interlocuzioni «finalizzate alla commissione di reati di natura finanziaria attraverso l’appoggio di professionisti di “fiducia”» di Masciari e, infine, il rapporto molto stretto con Antonio Bruno considerato quest’ultimo «elemento di spicco della ‘ndrangheta a Milano ed “erede” di Mimmo Pompeo, storico esponente della criminalità calabrese nel capoluogo lombardo».
Masciari, come è emerso dall’inchiesta, avrebbe anche contribuito in modo significativo al sostegno economico dei detenuti e, in particolare, alla famiglia Manfredi durante la detenzione di Pasquale Manfredi come ad esempio l’elargizione di denaro, il pagamento degli onorari dei legali e del consulente tecnico di parte. E poi l’acquisto di cellulari per consentire al detenuto di avere contatti con l’esterno. Gli inquirenti avrebbero ancora ricostruito il sostegno offerto da Masciari anche nei confronti di altri detenuti quali Maurizio Arena e Antonio Francesco Arena (cl. ’91) e Salvatore Giannuzzi. La “messa a disposizione” di Masciari, sempre secondo l’accusa, era legata anche alla fornitura di “agevolazioni”, tra cui soprattutto le assunzioni finalizzate anche a ottenere benefici quali misure alternative alla detenzione. È lui stesso, in una intercettazione del 24 dicembre del 2022, a lamentarsi di una possibile condanna da parte dell’autorità giudiziaria di Bolzano per reati fiscali, senza poter ricevere alcuno sconto vista l’assunzione sistematica di «pregiudicati o cautelati, che non sarebbe stata vista di buon occhio». (g.curcio@corrierecal.it)
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