La retorica libresca della poetessa Adele Ferrara, personaggio magnificamente interpretato da Claudia Gerini nel film “U.S. Palmese” si lancerebbe in voli pindarici densi di calabresità retorica per identificare due punti cardinali dello spettacolo italiano che in questo 2025 stanno molto rinnovando la narrazione del calabrese postmoderno: Rocco Papaleo e Dario Brunori. Il successo, ormai sempre più consolidato del cantautore di San Fili e Joggi, insieme al protagonismo di Rocco Papaleo nel film prima citato, ci offrono l’occasione di analizzare la nuova identità calabrese postmoderna. Una questione ben differente dall’identitarismo calabrese, con tutti i suoi derivati campanilistici, sorta di malattia infantile che affligge molti abitanti della nostra regione.
Dario il cantautore e Don Vincenzo protagonista del film in programmazione in 300 sale italiane sono due facce della stessa medaglia. Cantante di successo promosso da Sanremo, Brunori ha la caratteristica antropologica di voler vivere a San Fili scegliendo valori semplici e autentici non negandosi di esercitare il suo lavoro in palasport e media e mostrandosi per quello che è. Un artista calabrese di nazionale talento riconosciuto.
Siamo in territorio di restanza con chi trova risposte alla complessità del contemporaneo scegliendo la periferia del Sud posta in Calabria ma riuscendo ad essere comunque mondo. La vita è spesso feroce in Calabria come ha sublimato Brunori con il verso sulla “terra crudele” dove “la vita si può spezzare per un pezzetto di carne o di pane”.
Nella Palmi del film di Papaleo il locale ospedale è chiuso ma Don Vincenzo è capace di dare un sogno ai suoi compaesani “parmisani”. Grazie al sapere osare di don Vincenzo nella favola-film un grande campione di calcio sbarellato dai riti della mondanità arriva a Palmi grazie alla sottoscrizione popolare di una comunità che con una piccola somma di denaro cadauno rendono possibile che il sogno si realizzi. Ovvero permettere che la maglia di una squadra di piccola categoria calabrese possa schierare una grande campione da Champion. Insieme i sogni si realizzano. Il personaggio di don Vincenzo è riuscito perché magnificamente interpretato da Rocco Papaleo.
Un attore lucano che parla “parmisano” per interpretare un agricoltore vedovo in pensione segnato sul viso dalla fatica. Rocco Papaleo ha vissuto questa esperienza professionale con modalità ben differenti da quelle che avvengono di solito nei set calabresi e di provincia.
Non la star distante dal luogo dove si gira, ma attore con la gente tra la gente nelle piazze e nei set della città, perché il meridiano di Lauria non è poi così differente da quello di Palmi. Anche perché il progetto è frutto di una restituzione. Quella degli affermati registi Manetti Bros che hanno radici nella città di Cilea e Repaci per parte di mamma e che a Palmi hanno passato le loro estati. Quindi la Festa della Varia, la pasta alla stroncatura, le magnifiche granite, il mare al tramonto, la lenta vita uguale che ogni mattina accompagna il calciatore di colore che guarda i netturbini, il carabiniere e il fruttivendolo non sono stati elementi di studio della sceneggiatura ma vita meridiana di Palmi simile a quella di Lauria e a quel Sud richiamato a riconsiderare come vita utile il tempo dei suoi usi e costumi.
L’amore paterno accomuna Brunori e Don Vincenzo. Il primo mettendo la figlia al centro della sua canzone sanremese, il secondo scoprendo e valorizzando con normalità l’amore lesbico della figlia. Favola cinema e canzone ci raccontano che nel Sud qualcosa è cambiato. Il film “U.S. Palmese” oscilla tra il fumetto sempre caro ai Manetti e la commedia di provincia degli anni Cinquanta. Si ride a denti stretti mettendo in trama pregi e difetti della calabresità moderna.
Tutto passa attraverso il moloch del calcio moderno consumistico (il nuovo oppio dei popoli dice banalmente la poetessa Ferraro che presto cambia opinione), uno sport difficile da raccontare nel cinema a differenza del pugilato e infatti il film ne risente in alcune parti del primo tempo.
Invece i tre location manager Michele Geria, Marco Suraci e Marcella Del Giudice hanno magnificamente svolto il suo ruolo nello scegliere luoghi che non sono cartoline ma paesaggi. Nel variegato cast emerge l’interpretazione dell’attore cosentino Max Mazzotta, il quale si è formato proprio a Palmi alla locale prestigiosa Accademia. Egli interpreta non un semplice allenatore nel pallone ma un attore con la giusta palla in campo per tempi, gag e dinoccolamenti mimici di gran pregio. Il suo Mimì Bagalà è da antologia, senza caricature da Oronzo Canà, con un monologo da spogliatoio in calabrese che eguaglia l’Al Pacino di “Ogni maledetta domenica”. L’attore Max Mazzotta è fratello stretto di Brunori e Papaleo, considerato che per la sua carriera ha scelto di restare nella sua Cosenza, pur avendo credenziali da Piccolo di Milano, e da regista, autore e formatore manda avanti la sua compagnia di Libero Teatro che molte similitudini ha con la Palmese calcistica del film. Metafora del film anche il sostegno alla produzione della Calabria Film Commission che attraverso il cinema pubblico regionale ha permesso la valorizzazione di molto talento e giusta identità calabrese.
Rocco Papaleo è l’espressione del nuovo sudismo che non si piange addosso. Anche Rocco vive molto a Lauria e quando va alla Confessione di Peter Gomez in tv parla in dialetto lauriota con la mamma defunta raccontando del suo successo con una complicità umana che evidenzia il lato divertente della vita.
Brunori è diventato un evidente punto di riferimento dei calabresi moderni che non devono poggiare su stereotipi. Gelati e panini hanno il suo nome o quello delle sue canzoni a testimoniare il riconoscimento. Lui che si può permettere ai concerti svisate di Heavy metal della sua passione giovanile, e che confessa da Cattelan che ai rosari in casa della mamma chiedeva come supplica di diventare Superman come in un film dei Manetti. Brunori cantautore postmoderno che ci indica le differenza tra l’evanescente amore e la forza dell’amare. Perché, quando le cose diventano sostantivo perdono il loro valore. Ma non è un caso che Brunori già prima di Sanremo recitava sui social le poesie di amore di Franco Arminio, il paesologo; guarda caso buon sodale di Rocco Papaleo, infatti, i due insieme hanno prodotto recital sui morti e i vivi dei paesi meridionali.
Quando il palasport di Roma al concerto di Brunori canta a memoria in coro il testo di “Guardia 82” ci dice che molti italiani sono fratelli dei calabresi condividendo l’estate che muore. Non è neanche un caso che il giovane cantante sardo Bandito abbia voluto tradurre nella sua lingua “L’albero delle noci” nel corso di una presentazione del nuovo disco di Brunori. E se Palmi ha riaperto il suo cinema e ha trovato Rocco Papaleo come suo sciamano, in Calabria la signora Michelina Maria Viola da Bocchigliero quando incontra Dario per caso per strada è poi felice di postare la sua foto con lui e il figlio per poter scrivere di “una persona che sta facendo parlare di sé e della Calabria finalmente in modo positivo e che la rappresenta alla grande”.
Dario Brunori e Rocco Papaleo hanno il dono del riso e dell’ironia nella loro arte. Una buona difesa dalle parole ufficiali lette nelle dirette social, dal solito pianto meridionale, dalle cattive abitudini dure a morire, dalle anime morte del vuoto morale.
Viva la vita di Rocco e Dario.
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