LAMEZIA TERME «È passata una vita, ho avuto un sacco di problemi nella vita. Provi a immaginare se io posso ricordare Morabito». E ancora: «Una volta si muore nella vita, non cento volte. Se qualcuno decide che io devo morire, non è un problema, non mi fa paura niente e nessuno, signor Procuratore». Una deposizione surreale, un episodio clamoroso nel corso del processo “Ndrangheta Stragista”. È il 2 giugno 2022 quando nell’aula bunker di Reggio Calabria l’ormai ex pentito Annunziatino Romeo nega qualsiasi cosa rispondendo al pm Lombardo e, soprattutto, di esser stato un uomo di ‘ndrangheta e membro dell’organizzazione criminale capeggiata dal cugino, Saverio Morabito, e i fratelli Sergi di Platì. Nega, soprattutto, ogni contenuto del verbale depositato il 16 maggio 1996 contenente specifiche dichiarazioni sui gruppi criminali operanti a Platì e ai relativi esponenti di vertice, alle capacità militari, agli appoggi con rappresentanti delle istituzioni, della massoneria, della politica, cointeressenze ritenute, a suo tempo, dal teste determinanti per il consolidamento del potere criminale stesso e l’esistenza di quella che fu definita “La camera”, un’area criminale di altissimo livello.
È passato un po’ di tempo ma Annunziatino Romeo è di nuovo protagonista della cronaca giudiziaria. L’ex pentito classe ’64 di Platì è stato arrestato dal Ros dei Carabinieri per violenza privata e indagato per tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafiosa. Sarebbe stato scelto, secondo quanto è emerso, dall’ex superpoliziotto Carmine Gallo (morto nelle scorse settimane) per una “mediazione” tra due imprenditori, sperando di poter contare sul “peso” criminale di Romeo, ma anche quello di due componenti della famiglia Barbaro: Pasquale e Francesco.
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Proprio Annunziatino Romeo, nel periodo da collaboratore di giustizia, aveva permesso di identificare alcuni soggetti affiliati alla ‘ndrangheta e attivi a Buccinasco e Corsico, nel Milanese, e Platì, legati alle famiglie ‘ndranghetiste dei Barbaro, Papalia, Sergi e Trimboli. Salvo ritrattare tutto il 2 giugno 2022. «A me non risulta. Non so se hanno partecipato, o se partecipavano, non lo so. Non glielo saprei dire, io non partecipavo a nessuna riunione, non ho fatto mai niente di queste cose». Romeo, poi, cambia versione in aula anche rispetto alle presunte partecipazioni delle famiglie De Stefano, Papalia e Barbaro alle riunioni a Reggio Calabria. Quei Barbaro, insomma, finiti al centro della nuova inchiesta della Dda di Milano.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta, l’imprenditore romano Lorenzo Sbraccia (indagato) in veste di Ad di un’impresa general contractor specializzata nella gestione di progetti edili complessi, la Fenice Spa, tra il maggio e l’ottobre 2023, si è rivolto al gruppo Equalize «per avere un supporto nella mediazione con un’impresa subappaltatrice dei lavori edili in diversi cantieri gestiti dalla Fenice», con una richiesta chiara: trovare un mediatore dotato di «capacità intimidatoria sufficiente» a convincere la controparte a sedersi al tavolo della trattativa e concedere «una somma di gran lunga inferiore a quella pretesa, poco più di 8 milioni di euro, a fronte dei 35 richiesti». Durante le “trattative” che gli inquirenti dividono in tre fasi, tramite un altro soggetto indagato, Umberto Buccarelli, entrano in scena i due Barbaro, tra cui proprio Pasquale che Gallo, in una conversazione intercettata, definisce «il numero uno di Platì». E ancora: «… questo Pasquale ha detto a Nunzio “parla tu e di tu a quelli là che garantiamo noi che la cosa va a buon fine”». Ad un certo punto della trattativa, infatti, l’ex pentito Romeo risponde ad un’autorità superiore che può essere individuata proprio nella famiglia Barbaro. (g.curcio@corrierecal.it)
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