CATANZARO «Noi dobbiamo andare ad occupare quegli spazi vuoti e li dobbiamo andare ad occupare non militarmente, ma come società civile, facendo cultura, impegnandoci, affrontando e andando incontro al disagio che riscontriamo, non aspettando che il disagio venga incontro a noi». Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Salvatore Curcio, intervenendo all’incontro dal titolo “Coraggio e legalità: istituzioni e imprese insieme contro la ndrangheta” nella sede della Camera di Commercio di Catanzaro.
Curcio ha anzitutto evidenziato: «Noi purtroppo scontiamo ancora oggi nel 2025 un gap di conoscenza sul fenomeno ‘ndranghetista estremamente elevato. Di questa fenomenologia mafiosa si conosce un terzo o forse la metà della sua reale portata. Ed è un fenomeno transnazionale. Ormai le indagini sulla ‘ndrangheta non si fanno più in maniera tradizionale, limitandoci al semplice “locale” o alla ‘ndrina come articolazione del “locale” di ‘ndrangheta. L’investigatore che si approccia ad un’indagine di ‘ndrangheta deve necessariamente compiere delle manovre investigative di ampio respiro, in cui la cooperazione non tra procure italiane, magistralmente coordinate dalla Direzione nazionale antimafia, ma a livello internazionale è diventata fondamentale. Vi posso assicurare che una dimensione completa del fenomeno non ce l’abbiamo. Nel 2008 uscì un dossier di Eurispes, “‘Ndrangheta Holding” che stimava i guadagni della ‘ndrangheta nel solo 2007 in 44 miliardi di euro, una somma che equivale alla somma del Pil di paesi come Estonia e Slovenia. Questo, ahimè, è un dato molto prossimo alla realtà. E noi in procura a Catanzaro – ha affermato il capo della Dda catanzarese – l’abbiamo sperimentato, investigando su un narcotraffico internazionale: questo è il contesto in cui ci muoviamo. E’ chiaro che se i dati sono questi, il grosso della partita si gioca su due tavoli: il narcotraffico internazionale e il riciclaggio, il reimpiego di somme paurose, difficili anche da indicare, che inquinano l’economia legale. Oggi la ‘ndrangheta non è presente soltanto in tutte le regioni d’Italia: l’omicidio “eccellente” che diede la stura all’ultima guerra di ‘ndrangheta avvenne nel 2010 in Lombardia, quando il capo della struttura denominata “Provincia” lombarda aveva manifestato disegni e progetti secessionisti rispetto alla casa madre. Ecco perché parliamo di globalizzazione criminale, perché il fenomeno è planetario».
Secondo Curcio quindi «tutto ciò – diceva bene il presidente Occhiuto – ha causato non solo dei danni antropologici ma anche dei danni sociologici, e io vi dico per esperienza personale che l’azione repressiva non sarà mai risolutiva. Conoscete la vicenda giudiziaria che qui a Catanzaro ha riguardato la vicenda giudiziaria la realizzazione della rotatoria al Motel Agip: io all’epoca ero un giovane magistrato, arrestammo l’imprenditore capofila di quella Ati che era un personaggio molto noto in Italia e ci spiegò come funzionava il sistema. E il sistema, vi posso assicurare, è ancora quello. Ci disse: “dottore se io inizio un lavoro in un’area ad alta intensità mafiosa, prima di cantierizzare mi guardo un po’ intorno”. Nelle grosse estorsioni dobbiamo essere più furbi e più veloci, perché dobbiamo anticipare la soglia dell’attenzione, la soglia investigativa, perché quando l’impresa cantierizza ha già pagato il grosso delle tangenti, è inutile che ci nascondiamo dietro un dito. Potrei citare altri casi, come la ristrutturazione e il rifacimento della Salerno-Reggio Calabria: lì – ha sottolineato il procuratore di Catanzaro – le cosche facevano delle vere e proprie riunioni distributorie, utilizzando una sorta di competenza territoriale, man mano che l’autostrada andava avanti».
«Perché la ‘ndrangheta attecchisce, soprattutto da noi?» si è chiesto poi Curcio: «Perché da noi – ha rimarcato il procuratore di Catanzaro – si è perso il senso dell’appartenenza. Noi rispetto allo Stato ci consideriamo sudditi e non cittadini, e come sudditi non rivendichiamo diritti ma siamo abituati a chiedere favori. E questo era il vero problema: dismettere gli abiti del suddito e vestire gli abiti del cittadino, ma essere cittadini significa essere parte integrante in una comunità, tutto ciò che accade intorno a noi e alle nostre comunità deve interessarci come cittadini e come cittadini responsabili, perché ciascuno di noi deve essere testimone del proprio impegno. L’avere ritenuto per anni che la lotta alla ‘ndrangheta fosse appannaggio soltanto dei magistrati, delle forze dell’ordine e degli organismi dello Stato è stato un gravissimo errore e un grande regalo fatto alle mafie. E allora – ha aggiunto Curcio – prima ancora che parlare di sistema di contrasto alle mafie, è necessario combattere e sradicare la cultura mafiosa, che precede l’esistenza stessa delle mafie: la mentalità della prevaricazione, della difesa strenua delle proprie rendite di posizione, della mediazione amicale. Non si può essere liberi, lo ribadisco, vestendo i panni del suddito e tutto ciò si deve tradurre in una coerenza di comportamenti tra i valori che diciamo di perseguire e i nostri comportamenti quotidiani. A volte ci domandiamo “perché i cittadini non denunciano”: a volte per paura, a volte per ignavia, disinteresse, sfiducia, ma a volte c’è anche la poca credibilità degli interlocutori istituzionali. E allora la coerenza dei comportamenti è uno snodo cruciale anche per il requisito della credibilità non solo delle persone, delle istituzioni, ma dello stesso sistema generale». Per Curcio «oltre a questa rivoluzione delle coscienze ci deve essere una vera e propria rivoluzione culturale intervenendo anzitutto sulla formazione dei nostri giovani, il cambiamento non può che essere morale e culturale. Ciascuno di noi deve ritrovare e coltivare la capacità di innamorarsi del destino di chi gli sta a fianco. La solidarietà è fondamentale. I nostri ragazzi meritano sicuramente una cultura migliore di quella dei social e del web, dedichiamogli spazio in più. Soltanto in questo modo, con un concorso di condizioni favorevoli, l’azione repressiva avrà un senso e avrà un’impennata. Noi dobbiamo andare ad occupare quegli spazi vuoti e li dobbiamo andare ad occupare non militarmente, ma come società civile, facendo cultura, impegnandoci, affrontando e andando incontro al disagio che riscontriamo, non aspettando che il disagio venga incontro a noi. Solo così porteremo una ventata di cambiamento, e solo questo potrà farci rifuggire dalla disperazione più grande che può soffocare una società, quella di cui parlava Corrado Alvaro in “Ultimo diario”: “il dubbio che vivere rettamente sia una cosa inutile”». (a.cantisani@corrierecal.it)
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