La Dda di Torino (il pm Marco e Sanini e i colleghi Mario Bendoni e Paolo Toso) ha chiuso le indagini nei confronti di 6 persone che ora rischiano il processo. Si tratta degli indagati nell’inchiesta “Factotum”, ai quali vengono contestati i reati di associazione mafiosa, estorsione, tentata e consumata, ricettazione e detenzione illegale di armi. Una nuova inchiesta, quella della Procura del capoluogo piemontese, che si aggiunge alle tante che hanno colpito in passato – e duramente – l’attività legata alla ‘ndrangheta sul territorio e strettamente connesse alla “casa madre” calabrese. Dalle indagini è altresì emerso che l’organizzazione in questione, grazie all’opera di due ulteriori destinatari del fermo, ha fornito sul territorio di Carmagnola protezione a imprenditori nel corso di dissidi con altri operatori economici. Tale servizio di protezione veniva remunerato con somme di denaro riscosse e successivamente destinate agli associati.
A rischiare il processo c’è il presunto boss della ‘ndrangheta radicata da Moncalieri e Carmagnola, Francesco D’Onofrio (cl. ’55) di Mileto (difeso dagli avvocati Alessandro e Roberto Lamacchia), tornato libero a luglio dello scorso anno, già coinvolto nell’inchiesta Minotauro, nonostante si sia sempre dichiarato estraneo alle dinamiche di ‘ndrangheta. Francesco D’Onofrio, in ipotesi d’accusa, risulta dirigente e organizzatore della rete della ‘ndrangheta del Piemonte (a tutt’oggi ancora operativa) – e aver in tale veste promosso, favorito e partecipato a incontri tra associati di diverse articolazioni calabresi e piemontesi (per intese, alleanze, spartizioni del territorio, richieste di interventi di mediazione o recupero crediti, regolamentazioni di rapporti tra associati e articolazioni, autorizzazioni a commettere delitti) – e riferimento per appartenenti alla criminalità organizzata comune che intendevano ottenere avallo per la propria attività delittuosa.
E poi l’allora sindacalista della Filca-Cisl, Domenico Ceravolo, subito sospeso in seguito all’indagine secondo la quale, attraverso di lui, ci sarebbe stato «il «tesseramento dei dipendenti delle imprese edili gestite da calabresi». Per gli inquirenti della Dda di Torino è «un partecipe del sodalizio carmagnolese, al quale è legato da diversi anni». Trasferitosi in Piemonte dal Vibonese, in concomitanza con la scoperta «della sua contiguità con appartenenti alle locali ‘ndranghetiste di quella zona», scrivono gli inquirenti, Ceravolo «finito sotto usura ad opera di alcuni appartenenti alla ‘ndrangheta, da altri è stato invece “protetto” ed anche utilizzato quale intestatario fittizio di beni» si legge. L’uomo, inoltre, sul territorio «si sarebbe messo a disposizione prima della cosca e poi di Francesco D’Onofrio, dirigente della ‘ndrangheta piemontese».
Anche in questo caso, le investigazioni si sono concentrate sul territorio di Carmagnola. In quest’angolo piemontese, infatti, il sodalizio è presente ed organizzato da più di un decennio, frutto di una forte immigrazione di famiglie calabresi, provenienti dal vibonese ed in particolare dalla cittadina di Sant’Onofrio, il regno indiscusso della famiglia Bonavota. Per gli inquirenti non c’è alcun dubbio, si tratta di un’articolazione appartenente alla rete unitaria della ‘ndrangheta del Piemonte e lo confermano i rapporti tra i suoi appartenenti e gli affiliati ad altre articolazioni piemontesi. (Gi.Cu.)
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