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Da Bologna e Reggio Calabria, l’infermiere che si licenzia per tornare al Sud. «Impossibile lavorare al pronto soccorso»

La storia di un 35enne pronto a lavorare nel privato. «I professionisti che lavorano nel pubblico non hanno più la mira del posto fisso»

Pubblicato il: 02/04/2025 – 19:20
Da Bologna e Reggio Calabria, l’infermiere che si licenzia per tornare al Sud. «Impossibile lavorare al pronto soccorso»

Tornare al Sud, in Calabria. Tornare a vivere e a lavorare a Reggio Calabria, città dove è cresciuto da quando aveva 11 anni, dopo essere arrivato dalla Lettonia. È la storia di Pavels Krilovs, 35enne lettone, raccontata al Corriere della Sera. Lunedì 31 marzo è stato il suo ultimo giorno di lavoro per il Policlinico “Sant’Orsola” dove ha lavorato al pronto soccorso negli ultimi 5 anni.
«Lascio innanzitutto perché non è più garantito il diritto all’abitazione a Bologna. Io guadagno quasi 2mila euro, ma una città che ti porta via quasi 1.000 euro se vuoi andare a vivere da solo non è più sostenibile. E non ritengo dignitoso, a 35, 40, 45 o più anni condividere ancora l’appartamento con qualcuno», ha raccontato all’edizione bolognese del Corsera.

Il “ritorno” a Reggio Calabria

A pesare sulla decisione di tornare a Reggio Calabria il costo della casa, uno stipendio non commisurato alle responsabilità (e al costo della vita), i carichi di lavoro, le ripetute e crescenti aggressioni subite dalla sua categoria che, di fatto, è la prima linea in un Pronto soccorso. «Amo molto il mio lavoro» ha raccontato Pavels Krilovs «poi dell’emergenza mi sono proprio innamorato. Ma qualunque ospedale grande non guadagna con l’emergenza, l’emergenza ha solo dei costi».
Il 35enne, a Reggio Calabria, andrà a rafforzare il settore privato. «Il privato della frustrazione della mia categoria si è accorto benissimo» ha raccontato, «e un infermiere lo paga anche 30 euro all’ora. I professionisti che lavorano nel pubblico non hanno più la mira del posto fisso, se ne vanno via in massa».

Le aggressioni

Ma, oltre alla stipendio, c’è la crescente emergenza legata alle aggressioni subìte dai sanitari dei pronto soccorso. «Non parlo di offese generiche o insulti, parlo anche di minacce di morte, minacce di accoltellamento, gente che sputa, che morde, che può usare i nostri strumenti di lavoro potenzialmente come armi. Arrivano in Ps agitati, strafatti, alterati: bisogna gestirli e contenerli, lavorare diventa difficile», racconta al Corsera, con una chiosa: «Bologna aveva comunque più pro di Reggio Calabria, se devo dire il vero, ma alla fine è stato necessario forzare questo cambiamento».

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