LAMEZIA TERME L’acquisto dei prodotti alimentari italiani in alcuni casi sarebbe stato imposto ai ristoratori che non si determinavano “volontariamente”, facendo così leva sulla forza intimidatrice che derivava dall’appartenenza alla ‘ndrangheta calabrese. Così ai ristoratori di Fellbach – siamo nel land del Baden-Württemberg, in Germania – non restava altro che “arrendersi” per subire ulteriori intimidazioni e ritorsioni. È quanto hanno ricostruito gli inquirenti della Distrettuale antimafia di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta “Boreas” – vergata dal procuratore f.f. Vincenzo Capomolla e dai sostituti Elio Romano, Paolo Sirleo e Domenico Guarascio – che, su ordine del gip Sara Merlini, ha portato all’arresto di 20 persone solo in Italia e altre 14 in Germania.
L’imposizione dei prodotti alimentari italiani in ogni caso doveva rispondere alle logiche consuete della ‘ndrangheta, rispettando quindi le “competenze territoriali” predisposte a monte. Gli inquirenti ne hanno acquisito contezza attraverso diverse risultanze investigative, tra cui alcune intercettazioni ambientali. Come quella del 23 agosto del 2021, quando Fiorenzo Santoro e Antonio Santo detto “Tonino”, entrambi arrestati, discutono della distribuzione di prodotti ittici. Tonino, in particolare, si lamentava di non poter vendere i propri prodotti a Stoccarda a causa di una sorta di “veto” imposto da altri. «(…) io tengo Stoccarda che… ci vanno gli amici miei e gli chiedono di me… ed io perché questi cazzi di ristoranti non me li devo mangiare Re’?». Tonino, nel prosieguo del dialogo intercettata, spiegava comunque che in passato avrebbe venduto grandi quantità di prodotti come vini e olio ma ora non era più possibile. A Stoccarda, per vendere i prodotti, bisognava presentarsi a nome della famiglia, muoversi da solo comportava conseguenze. Anche fisiche.
A proposito dell’imposizione dei prodotti, le intercettazioni avrebbero consentito di ricostruire un quadro fatto di intimidazioni e violenze, ma solo nei confronti dei ristoratori calabresi e soprattutto quelli cariatese, e quindi quelli che ben conoscevano «la riferibilità e l’appartenenza degli autori degli atti intimidatori» mentre i soggetti del luogo o quelli provenienti da altre parti d’Italia non venivano toccati. Circostanza che fino ad un certo punto gli inquirenti avevano solo ipotizzato attraverso il racconto degli indagati, poi tra novembre 2021 e gennaio 2022, le attività tecniche avrebbero consentito di registrare “live” una serie di danneggiamenti commessi in concorso da Cataldo Scilanga e Fiorenzo Santoro, mettendo nel mirino proprio alcuni ristoratori cariatesi, tra cui il titolare della “Pinseria Bar&Bistrot Spatzanescht”.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta, Fiorenzo Santoro avrebbe imposto al ristoratore l’acquisto di 10 casse di mandarini con «modalità tipicamente mafiose», annotano gli inquirenti dell’antimafia catanzarese. «Ricorda che io sono sempre Renzo. E Renzo non rimane piccolo» diceva al telefono Santoro al ristoratore, richiamando l’appartenenza allo stesso paese, Cariati, e il “rischio” di «non essere più fratelli». Successivamente, come ricostruito, i due indagati avevano messo nel mirino il ristoratore cariatese, intenzionati a squarciargli le gomme dell’auto o del motocarro posteggiato proprio davanti al locale. «Le 4? 8, 10, 15, 20 ruote che ci sono là andiamo e le squartiamo, le vado e le squarto io le gomme». Arrivati, quindi, arrivano davanti al locale e, dopo aver individuato il motocarro che chiamavano «Lambretta», Cataldo Scilanga procedeva col piano. Una volta risaliti in auto entrambi si recavano successivamente a casa della vittima e, individuata l’auto, procedevano a squarciare anche questi pneumatici. «Tutte e quattro le ruote, le hai squartate?» chiedeva Santoro al socio, ricevendo risposta affermativa.
Una “scorribanda” serale che per gli indagati era andata a buon fine. Una sola cosa preoccupava, però, Scilanga: il suo coltello. «Mi devo comprare un coltello nuovo, non mi piace più questo qua…». (g.curcio@corrierecal.it)
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