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Dopo 42 anni, riaperte le indagini sul delitto del giudice Caccia ucciso dalla ‘ndrangheta

A 23 dall’omicidio dell’avvocato Ciriaco a Lamezia, nessun colpevole. Due storie di giustizia ingiusta

Pubblicato il: 05/04/2025 – 6:28
di Paride Leporace
Dopo 42 anni, riaperte le indagini sul delitto del giudice Caccia ucciso dalla ‘ndrangheta

«La procura di Milano ha riaperto le indagini sull’omicidio del procuratore di Torino, Bruno Caccia, ucciso il 26 giugno 1983 dalla’ ndrangheta. La riapertura del fascicolo arriva dopo il ritrovamento, lo scorso 24 settembre, di una pistola P38 nella casa del boss Francesco D’Onofrio». Dopo 42 anni, la caccia agli assassini del procuratore della Repubblica di Torino Bruno Caccia continua. Avendo scritto un libro su tutti i magistrati uccisi in Italia è una storia che conosco bene e che mi ha messo in relazione anche con i suoi illustri colleghi, anche il giudice Caselli, e soprattutto con i suoi familiari torinesi. Da qualche tempo di Caccia possiamo scrivere “ucciso dalla ‘ndrangheta” ma in quel lontano 1983 tutto concorreva a confondere le acque e far apparire il magistrato come bersaglio delle formazioni armate di sinistra le quali aveva perseguito con serrata determinazione.
A Torino neanche sapevano in quel 1983 che la ‘ndrangheta calabrese potesse arrivare ad uccidere un procuratore della Repubblica. Ci sono voluti anni per accertare i killer e attorno a quella lontana storia è nato un bisogno di memoria che ha portato a intitolare il nuovo Palazzo di Giustizia a Caccia, oltre a un fiorire di iniziative che hanno popolato di cittadinanza attiva molti beni sequestrati alle ‘ndrine.
La cronaca torinese de “La Stampa”notizia ripresa dal Corriere della Calabria – che segue il caso da sempre ha infatti dedicato una pagina alla novità. I bravi cronisti non mollano mai su un caso che hanno seguito nel suo evolversi. È il caso di Giuseppe Legato, origini calabresi, meno di quarant’anni, ma già da anni in prima linea contro minacce e querele e ‘ndranghetisti, compreso il proprietario della P 38 che ha fatto riaprire le indagini. Nomi che ritornano indagati, la pistola ritrovata funzionante e oliata in un mattone forato di uno stabile di Moncalieri dove il sospettato risiede, nuove intercettazioni. I magistrati non molleranno in questo safari storico che va avanti da decenni e che ha assicurato alla giustizia i due killer dell’omicidio. La Stampa intervista anche una delle figlie del giudice, Paola, che su questa vicenda è diventata adulta assumendo anche il ruolo di protagonista dell’antimafia piemontese in stretto raccordo con don Luigi Ciotti di Libera. Paola Caccia insiste nel reclamare la ricerca dei mandanti, anche l’ultimo indagato non lo ritiene capace di rivestire di tale ruolo.
Bruno Caccia dava molto fastidio all’ambiente della ‘ndrangheta d’epoca. Aveva intuito quello che non si intuiva. Era un magistrato riservato vecchio stile che si era messo a seguire soldi sporchi che andavano verso il casinò di Saint Vincent. Nonostante tutto, dopo decenni, Paolo Caccia non ha perso la speranza di una verità degna di questo nome. Chissà quanti lo sperano in Calabria. Tre lustri addietro da un mio libro sui giudici uccisi in Italia è stato tratto una spettacolo teatrale molto intenso. Fu rappresentato anche per degli studenti della Locride. Il quadro dedicato a Caccia nella piece viene rappresentato mostrando i due killer calabresi giunti a Torino che si preparano al delitto. Hanno un alterco violento. Colpì allora gli attori e i “foresti” il dato insolito che in quella recita scolastica all’unisono da parte di quasi tutti gli studenti scattasse un applauso di condivisione per quel gesto tipicamente ‘ndranghetista in scena. Nessun docente proferì una parola di biasimo.
Nel prossimo luglio in concomitanza con i 50 anni dell’omicidio irrisolto del magistrato calabrese, Francesco Ferlaino, il Festival Trame ha organizzato una ripresa a Lamezia Terme dello stesso spettacolo “Toghe rosso sangue”. Sono certo che questa volta nessuno esulterà per le imprese dei due ‘ndranghetisti.

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omicidio Ciriaco
Il luogo del delitto Ciriaco a Lamezia Terme

A proposito di delitti eccellenti avvolti da misteri insormontabili questa settimana abbiamo appreso che l’omicidio dell’avvocato di Lamezia Terme, Torquato Ciriaco, avvenuto il primo marzo del 2002, sul quale erano state ricostruite le presunte responsabilità di mandante e killer grazie ad un collaboratore di giustizia, dopo 23 anni è ancora irrisolto. Dopo quattro processi con altalenanti sentenze non ci sono colpevoli. Giulia Serrao aveva contribuito alle indagini del delitto del marito sin dal primo momento. Era lei ad aver consegnato agli inquirenti una lettera dell’avvocato rinvenuta nel suo studio in cui un celebre collega romano lo rassicurava di aver “provveduto a quanto richiestomi” raccomandando “massima cautela”. Ora invece bisognerà attendere solo le motivazioni della sentenza per capire se la Procura deciderà il ricorso. Resta il dolore di una vedova e sei figli. Molti i lametini che non hanno fatto mancare vicinanza alla famiglia, in particolar modo Libera ma anche Doris Lo Moro. La memoria mi è ritornata a 23 anni, quando fui inviato dal mio giornale dell’epoca per raccontare quella difficile sciarada. Arrivavo a Lamezia in quel 2002 a sette giorni dal delitto, tutte le notizie portavano a riferire dell’inaugurazione di una sala bingo raccogliendo sul punto anche le preoccupazioni del vescovo dell’epoca Vincenzo Rimedio, il quale le aveva ricollegate alla “preoccupante esplosione della nostra società locale”. In quei giorni il sindaco dell’epoca Pasquale Scaramuzzino aveva dedicato l’8 marzo come donna simbolo proprio a Giulia Serrao Ciriaco, la vedova che oggi ancora reclama giustizia.
Ai tempi di quel reportage avevo contato nel centro di Lamezia ben 20 istituti bancari e mi chiedevo se qualcuno seguisse i soldi per risolvere quell’intricato delitto. Un cronista torna sempre sul luogo di un delitto irrisolto e pertanto ero tornato a quei luoghi e contesti nel giugno del 2021 per raccontare nuovi scenari e sviluppi. Vent’anni dopo grazie a Pasqualino avevamo tutti i reperti fotografici dei fascicoli giudiziari per meglio arricchire il nuovo reportage. Insieme alle molte novità accadute nel tempo. Al Bingo si era aggiunta una cava tra i possibili moventi, i presunti killer all’epoca avevano un volto, il presunto mandante come nel delitto Caccia era più di un sospettato. La politica lametina intanto aveva cambiato qualche nome e qualche volto, la sensazione generale era che si fosse vicini ad una verità giudiziaria. Non è stato così. Tutto da rifare. L’assassinio dell’avvocato Torquato Ciriaco è ancora senza colpevoli e senza movente. Così va la Giustizia in Calabria.

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Dai quaderni digitali del carcere dell’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, abbiamo appreso dal di dentro della disastrosa situazione inumana dei detenuti. Il politico ha raccontato di questi carcerati che si improvvisano cuochi, cucinando su fornelli da camping quello che viene riciclato dal vitto quotidiano e quello che viene acquistato come sopravvitto, non mancando di voler specificare che “i risultati, soprattutto nelle celle dove vivono persone di origine calabrese sono assolutamente al di sopra della media delle nostre case, dove ormai domina la cattiva abitudine dei cibi d’asporto”. Per i detenuti calabresi una buona recensione d’autore che si potrebbe valorizzare per opere di reinserimento sociale a favore di chi ha pagato il suo conto con la giustizia. Magari Alemanno potrebbe essere autorevole testimonial. (redazione@corrierecal.it)

In copertina il luogo dell’omicidio di Bruno Caccia (Foto La Stampa)

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