RENDE “Donne e aree interne” è il seminario promosso e organizzato dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria e da Riabitare l’Italia. Il lavoro di ricerca e studio sulle e nelle aree interne condotto dal Dispes continua con un approfondimento sulle donne che vivono nei piccoli e piccolissimi paesi dell’interno italiano.
Sono notevoli gli svantaggi per le donne nelle aree interne, dove più acute si fanno le fragilità legate alla mancanza di opportunità occupazionali e di mobilità sociale, dove più intensi sono i processi di rarefazione demografica, dove più deboli e di minore qualità è l’offerta di servizi di cittadinanza. Sabrina Lucatelli, direttrice di Riabitare l’Italia, al Corriere della Calabria illustra mission e vision dell’associazione. «Da anni ci dedichiamo a tutti quei territori che perdono popolazione ed entriamo nelle diverse problematiche delle aree interne, delle periferie, dell’Italia di mezzo, laddove c’è un malessere che porta la popolazione ad andar via. In questo caso ci stiamo concentrando sul malessere vissuto dalle donne nelle aree interne, desiderose di avviare un progetto di vita, ma frenate da tanti ostacoli».
Le donne restano precarie in percentuale superiore rispetto agli uomini, ma ci sono anche elementi positivi emersi nel corso degli studi. «Ci siamo soffermati in settori che erano visti tradizionalmente come molto maschili dove invece registriamo l’entrata di giovani donne», osserva Lucatelli. Che suggerisce un esempio: «Le giovani pastore che vogliono occuparsi di agricoltura nelle montagne e nelle aree interne».
Dal dibattito affrontato nel corso della giornata di studio emerge chiara l’esigenza di una maggiore giustizia sociale, necessaria a dare voce e rappresentanza a comunità sofferenti e a rischio di estinzione. Ne è convinta Sabina Licursi, professoressa associata di sociologia all’Università della Calabria. «I fattori che incidono sulla difficile inclusione delle donne nel mercato del lavoro sono diversi. Quello che abbiamo messo in evidenza con la ricerca è che sicuramente non trovare lavoro è una delle spinte ad abbandonare soprattutto i piccoli comuni dell’interno calabrese. Però è anche vero, ed è questo un dato interessante, che quando le donne ricoprono ruoli pubblici, ruoli di responsabilità: dirigenti scolastiche, sindache, ma anche segretarie comunali, farmaciste, riescono anche a avere una grande forza, un desiderio di cambiamento e a mettere molte delle loro risorse anche personali, culturali, a servizio delle comunità», sostiene la docente al Corriere della Calabria.
Immaginare disegni di cambiamento nelle aree interne è dunque possibile. «La presenza delle donne nelle aree interne calabresi può agevolare la possibilità di un cambiamento». Dalle storie raccolte e diventate parte integrante dello studio, l’elemento di rottura, la variabile che spinge ad abbandonare le aree interne calabresi è l’assenza di servizi. «Si avverte la necessità di un sistema che funzioni, un sistema fatto di servizi: dalla mobilità, alle infrastrutture, a tutti gli altri tipi di servizi che presenti anche nell’ambito culturale e sanitario. E’ questo che manca, e pesa molto di più rispetto alla percentuale di investimenti e incentivi», conclude Licursi.
Le donne che abitano nei piccolissimi centri calabresi, per scelta di vita e per lavoro, si trovano spesso a fare i conti con contesti ostili, strette tra l’eterno dilemma restare o partire e tra rassegnazione e speranza. Ai risultati della ricerca, si affianca la voce di chi come la scrittrice napoletana Sonia Serazzi, ha scelto di vivere in un piccolo centro della Calabria: San Vito sullo Jonio. Uno dei suoi libri, “Il cielo comincia dal basso” (edito da Rubbettino) è «una delle opere letterarie tra le più belle, vere, profonde apparse in Italia negli ultimi anni», dice Vito Teti. L’autrice, nel testo, «descrive, trasfigura, rende elegante e abitabile un universo nel quale vive e cammina con garbo, delicatezza, un senso sacro della vita, delle persone, della natura».
Serazzi utilizza due «fotografie scritte» per addensare la vita in paese. «San Vito sullo Ionio è il mio posto. Ed è bello avere un posto che è casa». La prima fotografia è lo spazio ostile. «Giovanna sta per salire in macchina. Da fuori guarda attenta il sedile anteriore riservato al passeggero. Al volante, un giovane disoccupato. Lo pagano in molti per fare viaggi. Giovanna va in ospedale con una busta di carta verde che usa come valigia.
Prima di imbarcarsi la donna alza gli occhi al mio balcone, sorride e saluta col braccio quasi per ricevere una benedizione. La mia vicina di casa parte per Catanzaro. La sua America è a 50 km dal ballatoio su cui prende il fresco d’estate, l’autista disoccupato per andare e tornare dal Policlinico di Germaneto prende 60 euro. Da moltiplicare per 45 sedute di radioterapia». E ovviamente, il viaggio viene regolarmente pagato anche se, per qualsiasi motivo, la seduta viene rimandata o annullata. Serazzi prosegue il racconto e “scatta” la seconda foto. «Io abito in un chiuso da cui si impara a non uscire. Con sollievo, ci si chiude in un paese, ci si chiude nel vicolo, ci si chiude in casa. Ci si chiude. Ma la chiusura diventa una forma di salvezza, solo un poco stretta. Una specie di abbraccio che stropiccia e ripara insieme. Per noi paesani gli spazi aperti sono minacciosi per vastità». Chi abita nelle aree interne calabresi è capace di perdersi, in tutti i sensi. «Conosco genitori giovani che hanno proibito alle loro figlie in quanto donne di scegliere una certa scuola superiore perché era lontana. La prossimità rassicura e costa meno. Quando ci si dispone a muoversi in uno spazio più largo solitamente lo si fa addomesticando la distanza con una rete di relazioni sicure, scelte per familiarità.
Teresa, una cinquantenne colta e intraprendente si fa scortare anche nei viaggi in treno che da un paese della Calabria interna la portano a Milano dove è seguita per una patologia da sorvegliare con costanza. Intraprendente lavora con partita iva e rimborsa le spese all’amica che le addolcisce il viaggio. E tanto ha preso il vizio di pagare che una volta ha portato cibo e frutta secca, anche per me che già le ero grata ad essere sul mio stesso aereo per uno spostamento che ci accomunava. Io stessa se vado in giro per la Calabria chiamo Maria che mi sbroglia le distanze. Liberandomi da spazi che temo possano smarrirmi. Se devo andare al Nord apprezzo gli autobus. C’è un autista che sa di casa a portarmi altrove. Le relazioni, i volti, depotenziano lo spaesamento che emana dai luoghi sconosciuti», aggiunge Serazzi. «Ho tanti amici però che da San Vito sullo Ionio si spostano senza posa con una libertà ostinata che pare quasi una reazione alla tentazione di radicarsi». (f.benincasa@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
Senza le barriere digitali che impediscono la fruizione libera di notizie, inchieste e approfondimenti. Se approvi il giornalismo senza padroni, abituato a dire la verità, la tua donazione è un aiuto concreto per sostenere le nostre battaglie e quelle dei calabresi.
La tua è una donazione che farà notizia. Grazie
x
x