LAMEZIA TERME Un Samsung T329, un LG K9, e poi due Unihertz Jelly-Pro e due L8STAR BM50 associati ad almeno 5 utenze (schede sim) intestate ad altrettanti soggetti. Sarebbero questi i telefonini utilizzati dal boss di ‘ndrangheta, Antonio La Rosa “Ciondolino” (cl. 62), nel periodo in cui si trovava in carcere, rinchiuso ad Avellino dopo l’esecuzione dell’arresto per l’operazione “Rinascita-Scott”. Telefonini che La Rosa avrebbe utilizzato per comunicare, anche in modo assiduo, Tomasina Certo, Domenico La Rosa (cl. ’85), Cristina La Rosa e Davide Surace, tutti raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare, nonché Carmela La Torre e Loredana Molina, tra gli indagati. Si tratta ovviamente di smartphone pervenutigli illegalmente all’interno dell’istituto penitenziario, mettendo in evidenza una «drammatica emergenza» come l’ha definita questa mattina il procuratore della Distrettuale antimafia di Catanzaro, Salvatore Curcio.
Nell’ultima inchiesta ribattezzata, non a caso, “Call me”, il boss Antonio La Rosa avrebbe utilizzato gli apparecchi «per contattare la moglie Tomasina Certo per informarsi di quanto avveniva all’esterno del carcere», con particolare riferimento alle dinamiche interne alla sua famiglia e alla cosa La Rosa sulla quale, nonostante la restrizione in carcere, era in grado di esercitare tutto il suo potere criminale. Il boss, secondo quanto emerso ancora dall’inchiesta, si sarebbe informato anche «sulle visite di cortesia ricevute dalla moglie e gli aiuti economici e il sostegno morale ricevuto», nonché per curare gli aspetti legati alla scelta dei difensori, al pagamento e anche per commentare la propria vicenda processuale e interloquire indirettamente con Davide Surace, incaricata dallo stesso boss di occuparsi degli affari della cosca in sua assenza.
Altra dotazione ricchissima di telefonini era a disposizione di Francesco La Rosa. “U bimbu”, infatti, nel carcere di Siracusa avrebbe potuto contare su dispositivi Samsung, Nokia, L8STAR BM50 e diverse sim intestate a cittadini stranieri. Porte aperte nel carcere di Siracusa anche per un altro detenuto, Damiano Fabiano: per lui almeno tre Nokia 3310, altri telefoni sconosciuti e un Yingtai T30, oltre a numerose sim intestate, anche in questo caso, a soggetti stranieri. Paolo Petrolo, sempre nel carcere di Siracusa, poteva contare su un Nokia 3310, grazie al quale avrebbe contattato 31 volte il fratello Basilio; altre 10 volte il fratello Bruno, una volta il padre, 7 volte la mamma Anna Bonavota e 5 volte il nonno, Bruno Bonavota.
Gli inquirenti della Distrettuale antimafia di Catanzaro, grazie alle indagini condotte sul campo dagli uomini del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, sono convinti di aver accertato, da parte degli indagati, «l’utilizzo indebito di plurimi telefonici cellulari e molteplici schede sim per comunicare illegittimamente con familiari e altri soggetti loro contigui», come ampiamente spiegato questa mattina dal procuratore Curcio in conferenza stampa. Nella fase investigativa, l’ascolto delle conversazioni ha consentito di accertare la persistenza della loro attività criminale «pur durante Io stato detentivo, potendo così avere piena conoscenza delle dinamiche criminali persistenti durante la loro assenza, i comportamenti e gli agiti di sodali, parenti e soggetti loro contrapposti». (g.curcio@corrierecal.it)
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