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Ergastolo senza nessuno sconto per Turetta

Ergastolo. Per il reato di omicidio con le aggravanti dei motivi abietti e futili, della premeditazione e del legame affettivo con la vittima e per il reato di occultamento di cadavere. Nessuna at…

Pubblicato il: 09/04/2025 – 15:40
di Chiara Penna*
Ergastolo senza nessuno sconto per Turetta

Ergastolo. Per il reato di omicidio con le aggravanti dei motivi abietti e futili, della premeditazione e del legame affettivo con la vittima e per il reato di occultamento di cadavere. Nessuna attenuante generica riconosciuta, nonostante la giovane età e la incensuratezza: “…alla luce della efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita. Non può nemmeno essere a tal fine valorizzata la confessione di Turetta…”
Questo un passaggio fondamentale della motivazione, giustamente durissima, posta a base della sentenza di condanna emessa nei confronti di Filippo Turetta dalla Corte di Assise di Venezia, responsabile dell’omicidio di Giulia Cecchettin.
Eppure è bastato che da una sentenza di 150 pagine si estrapolasse una frase volta a specificare le motivazioni per cui non è stata, invece, riconosciuta la circostanza aggravante della crudeltà, a scatenare una serie di valutazioni a dir poco inquietanti, contro quegli stessi Giudici che, nel definire l’imputato Turetta come un soggetto dalla condotta controllante e possessiva, ha firmato un fine pena mai senza concedere, correttamente, alcuno sconto.
Colpa dei giudici sarebbe, dunque, aver ritenuto che le 75 coltellate inferte, non sarebbero state: “ …un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima”.
Ciò sulla base della videoregistrazione dell’ultima fase dell’azione omicidiaria quando Turetta “ha aggredito Giulia Cecchettin attingendola con una serie di colpi ravvicinati, portati in rapida sequenza e con estrema rapidità, quasi alla cieca”, in 20 minuti totali.
Una dinamica, secondo i giudici, per la quale non c’è prova al di là di ogni ragionevole dubbio che “sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato” di infliggerle dolore.
Quella modalità dipenderebbe piuttosto dal fatto che “Turetta non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito, così ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione dei colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia non c’era più””.
Certamente espressioni complesse che fanno riflettere, soprattutto se buttate a caso e decontestualizzate. Ma che, forse, se qualcuno avesse mai chiesto o disposto una perizia per accertare lo stato psichico dell’imputato, sarebbe stato più agevole comprendere, considerata una tale modalità di azione. Ma in questo caso, l’aspetto che preme evidenziare è un altro e riguarda proprio l’aggravante in contestazione.
La giurisprudenza ha, infatti, stabilito che non basta un’azione violenta, come colpire una persona ripetutamente, per configurare un comportamento particolarmente crudele. È necessario andare oltre la mera descrizione dei fatti e analizzare il contesto emotivo e psicologico dell’autore. L’intenzione diventa quindi il fulcro della valutazione: se l’omicida ha agito con l’intento di infliggere sofferenze superflue, il suo comportamento assume una connotazione ben più grave. Altrimenti no.
Dunque, se è certamente condivisibile la posizione di chi, da un punto di vista tecnico propende per una conclusione diversa, motivandone le ragioni giuridiche, come è sacrosanto che sia in un normale scontro dialettico- processuale, inaccettabile è invece, la diffusione di commenti fuorvianti e tecnicamente scorretti nei confronti dei giudicanti. Ho ascoltato sostenere convintamente che, grazie all’esclusione dell’aggravante, il condannato potrebbe ottenere dei benefici o che addirittura una sentenza di primo grado potrebbe fungere da pericoloso precedente, annullando tutti i passi avanti fatti nella lotta al femminicidio.
Ebbene, sarebbe il caso che chi si professa esperto di diritto, prima di esprimersi, considerasse che così facendo non offre affatto un servizio divulgativo, ma contribuisce a fomentare la rabbia di una società irrimediabilmente avvelenata di giustizialismo, che probabilmente, oggi, non arriverebbe ad accontentarsi nemmeno più del ripristino della pena di morte, se lo proponessero.
Ed allora, probabilmente, sarebbe più utile spiegare perché una Corte, evidentemente analizzando il soggetto Turetta, ascoltando il soggetto Turetta, valutato attraverso una percezione diretta l’imputato Turetta, visto e non filtrato attraverso commenti, video o interpretazioni non obiettive, ha ritenuto di giungere a tale conclusione.
Servirebbe far capire che questo è il ruolo dei giudici e che questo significa oralità del processo: ciò che fa la differenza e rende i magistrati in grado di esprimersi sul caso specifico secondo il loro libero convincimento, ma sempre considerando tutto il compendio probatorio che viene portato alla loro diretta attenzione.
Invece si ascoltano e leggono una serie di amenità che si fanno scudo col principio secondo cui le sentenze vengono emesse in nome del popolo italiano, ed il popolo italiano sarebbe stanco di leggere sentenze “amorevoli e comprensive” come un questa. Un ergastolo. 
Questo confonde. Perché il principio in questione non vuol dire affatto che i giudici debbano decidere i processi seguendo la volontà popolare.
Significa, al contrario, che la giustizia non è amministrata in nome del potere politico o dell’umore dell’opinione pubblica, ma che deve sottostare solo alla Legge e non alla volontà del legislatore, che magari è già pronto a sfornare un nuovo reato per l’occasione.
Ed è davvero una gran fortuna, perché tale principio è posto a tutela di tutti noi, potenziali vittime e imputati. Soprattutto perché il popolo, se chiamato da un giudice codardo, intimorito e condizionato, a scegliere chi salvare, sceglie sempre Barabba.

*Avvocato e criminologa

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