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Domenica Taruscio: «Ambiente e cibo sono pilastri del benessere»

La presidente di Kos-Scienza ha promosso il progetto “Sila Scienza” per valorizzare il legame tra salute, ambiente e cultura nel territorio calabrese

Pubblicato il: 11/04/2025 – 7:20
di Emiliano Morrone
Domenica Taruscio: «Ambiente e cibo sono pilastri del benessere»

Domenica Taruscio è nata a Cotronei, in provincia di Crotone. Medico, specialista in Anatomia e Istologia patologica, ha lavorato per oltre trent’anni all’Istituto superiore di sanità, dove ha diretto dal 2008 al 2022 il Centro nazionale malattie rare. Ha svolto attività di ricerca anche negli Stati Uniti, nelle università di Yale e Columbia, ed è stata membro di numerosi comitati scientifici europei e internazionali. Attualmente presiede il Centro studi Kos-Scienza, Arte, Società, con cui ha promosso il progetto “Sila Scienza”, patrocinato dall’Istituto superiore di sanità e volto a valorizzare il legame tra salute, ambiente e cultura nel territorio calabrese. Nell’intervista che ci ha rilasciato, la professoressa Taruscio parla del rapporto tra genetica, contesto ambientale e salute. Inoltre, affronta il tema dello spopolamento delle aree interne, racconta l’esperienza del progetto “Sila Scienza” e rimarca il valore delle sue radici silane. Infine, la studiosa sottolinea l’importanza di sviluppare una solida rete tra gli scienziati italiani, quindi anche calabresi, per rafforzare la ricerca e costruire un modello sostenibile di benessere, fondato sul rispetto per l’ambiente e sulla partecipazione delle comunità locali.

Professoressa, lei ha origini calabresi. Di recente è stato pubblicato uno studio che su base genetica ha dimostrato la minore esposizione ai rischi del Covid delle popolazioni meridionali. Che cosa può dire, sulla scorta della sua grande esperienza in campo scientifico, riguardo al rapporto tra ambiente e salute?

«Premetto che non conosco il lavoro che lei cita, ma la questione generale è interessante. Comunità che vivono in aree geografiche diverse possono presentare vulnerabilità differenti nei confronti di rischi ambientali, dalle epidemie ai contaminanti chimici. Certamente, ci possono essere differenze genetiche fra diverse regioni e persino all’interno delle stesse regioni: questo si può osservare anche in un grande Paese come l’Italia, dove la popolazione si è mescolata da generazioni. Alcuni geni importanti per determinare la maggiore o minore suscettibilità a specifiche malattie (infettive o degenerative) possono essere più comuni in alcune zone rispetto ad altre. Io credo però anche nel ruolo determinante dell’ambiente e degli stili alimentari e di vita: il contesto ambientale, culturale e sociale in cui viviamo ci può rendere più o meno suscettibili a determinati rischi. Ad esempio, un’alimentazione ricca di grassi saturi – come i grassi animali – e povera di frutta e verdure, quindi di vitamine e antiossidanti, riduce le difese dell’organismo e pertanto ci si ammala di più. Oppure il nostro contesto di vita ci può rendere più o meno esposti, favorendo la circolazione di rischi ambientali, come ad esempio gli inquinanti atmosferici nelle zone a grande traffico veicolare».

La Calabria, soprattutto nelle aree interne, è alquanto soggetta al fenomeno dello spopolamento. Può essere un vantaggio, per la tutela della salute, vivere in territori più sani come molti Comuni dell’interno calabrese?

 «Vivere nelle zone interne, lontane da stress e da pressioni ambientali, inquinamento acustico, atmosferico eccetera, nonché maggiormente a contatto con la natura, possibilmente incontaminata, certamente è un fattore di promozione della salute e del benessere. Va detto, però, che occorre provvedere affinché tutti possano fruire di tali vantaggi. È quindi necessario realizzare servizi sociosanitari equi ed efficienti e favorire tessuti sociali che promuovano cultura e socialità. L’invecchiamento delle comunità, la solitudine e l’isolamento fisico, sociale e culturale, nonché l’esodo dei giovani in cerca di migliori opportunità di studio e lavoro, creano disagio, malessere e degrado che non sono certo fattori di salute. Questi sono rischi che esistono per le comunità che vivono nelle zone interne e non possono essere ignorati. Bisogna creare le condizioni per favorire la “restanza”, vale a dire la decisione di restare non per rassegnazione, ma con un atteggiamento propositivo, magistralmente illustrata nelle opere del professor Vito Teti. Si tratta di reggere all’urto del cambiamento incorporandolo e trasformandolo in linfa vitale per il proprio territorio: la “restanza” non è nostalgia ma memoria con apertura. Sono fermamente convinta che le comunità che promuovono la “restanza” pongono, nel contempo, le condizioni per promuovere salute e benessere».

Aria e acqua pulite, luoghi privi di contaminazioni, stili e ritmi di vita più sani e altri fattori aiutano a preservare la salute. Con il Sila Scienza, progetto in cui lei ha coinvolto l’Istituto superiore di sanità, state lavorando, anche sul piano della ricerca, alla valorizzazione dell’ambiente silano. Come vi state muovendo? quali benefici, in termini di salute, possono derivare dal vivere in questo altopiano della Calabria?

«Il progetto “Sila Scienza”, promosso dal nostro Centro Studi Kos-Scienza, Arte, Società e dal Comune di Cotronei, patrocinato dall’Istituto superiore di sanità, è un laboratorio per la realizzazione dell’approccio “One Health” in uno specifico contesto locale, attraverso il dialogo fra il sapere scientifico, le esigenze espresse dall’amministrazione comunale e la valorizzazione dei saperi “laici”, vale a dire delle competenze e conoscenze della comunità. Il grande concetto di “One Health” – che lega e integra la salute degli esseri umani, degli altri esseri viventi e la qualità dell’ambiente – è stato declinato nel primo Convegno, tenutosi in aprile 2024, in due giornate appassionanti dedicate alla scienza dialogata e partecipata ed alla conoscenza dell’immenso patrimonio rappresentato dal Parco nazionale della Sila. Le prime attività, focalizzate su ambiente e cibo come pilastri del benessere, hanno riguardato: la valorizzazione sicura e sostenibile delle produzioni montane – ad esempio funghi ed erbe officinali –, considerando sia la tipicità – il legame col territorio – sia la qualità e disponibilità delle risorse-base come acqua e suolo; il coinvolgimento delle giovani generazioni nella tutela della preziosa e ricca biodiversità silana, partendo dalle opportunità di formazione interattiva offerte dal Parco; infine la valorizzazione delle qualità salutistiche dell’aria dell’ambiente montano silano, validate da evidenze scientifiche, per la possibile creazione di “Percorsi di benessere e di salute in ambienti naturali”. Il prossimo incontro, previsto a Cotronei per il 31 maggio e il 1° giugno 2025, si focalizzerà più specificamente sulla salute umana, con un forte accento sulla ricerca, dalla genetica fino agli aspetti socioculturali, per la prevenzione e promozione della salute. Vi sarà spazio per tutte le esperienze: dai giovanissimi, futuro della comunità, che presenteranno i risultati del loro progetto “I fiori spontanei della Sila”, ai seniores, memoria e radice della comunità, che trasmetteranno i saperi transgenerazionali».

Lei vive e lavora fuori, gira e conosce il mondo, soprattutto per la sua attività di scienziata della Medicina. Quanto le sue radici calabresi, in particolare silane, le sono rimaste nel cuore? 

 «Io mi sento una cittadina del mondo con radici calabresi: vivo a Roma, sono molto legata a Bologna, dove mi sono laureata, e che è “patria” di mio marito Alberto, ho vissuto vari anni negli USA e ho girato per motivi di studio e lavoro tutti i continenti, meno, finora, che l’Antartide. Credo che l’essere aperta alle culture e agli stimoli più diversi e il sentire fortemente le proprie radici, lungi dall’essere in contrasto, si rafforzino a vicenda. Per me le radici calabresi e silane vogliono dire il legame con paesaggi e ricordi, con i sapori della nostra cucina e del nostro dialetto, e soprattutto con i valori trasmessi dai miei genitori Antonietta e Francesco: la serietà nel lavoro, l’onestà cristallina, la generosa e allegra ospitalità nonché – in due persone che non avevano certo potuto studiare – il grande rispetto per la cultura».

Il professore Giuseppe Remuzzi, bergamasco ma estimatore della Calabria, ci aveva detto che la regione potrebbe diventare un laboratorio nazionale della ricerca nel campo della Medicina. Peraltro, ora il presidente dell’Istituto superiore di sanità è il professore Rocco Bellantone, altro scienziato di punta e di origini calabresi. Lei è d’accordo con Remuzzi? Ritiene possibile un’“alleanza” degli scienziati, calabresi e non solo, per raggiungere l’obiettivo auspicato da Remuzzi?

«Gli scienziati costituiscono una grande comunità aperta a livello nazionale ed internazionale, ognuno con le proprie radici, che collaborano e si scambiano dati, esperienze e conoscenze nell’interesse del benessere e della salute di tutti. Ad esempio, mio marito Alberto – emiliano convinto ed anche lui ex-dirigente dell’Istituto superiore di sanità – è attivissimo nella organizzazione del “Sila Scienza”. Sono convinta che occorra valorizzare ulteriormente certe realtà calabresi, sia accademiche sia come esperienze partecipative, in modo da rafforzare il contributo della Calabria alle eccellenze italiane ed internazionali. L’Italia ha una bella “diversità” sia ambientale sia storica, e ogni regione vi apporta il suo valido contributo: penso che il contributo della Calabria sia importante e possa esserlo ancora di più. In particolare, come ho già detto, la Calabria presenta realtà che vanno tutelate, studiate e valorizzate come possibili modelli di un rapporto corretto, sereno e benefico fra noi ed il nostro territorio e ambiente». (redazione@corrierecal.it)

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