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l’indagine

Il “contesto di ‘ndrangheta” nell’omicidio di Boiocchi: Simoncini scelto perché «al suo paese sono in faida»

Secondo il pentito Beretta «era esperto di queste azioni». E poi le «modalità professionali» dell’agguato e la minaccia a Ferdico: «Non hai capito con chi ti sei messo»

Pubblicato il: 11/04/2025 – 20:06
di Giorgio Curcio
Il “contesto di ‘ndrangheta” nell’omicidio di Boiocchi: Simoncini scelto perché «al suo paese sono in faida»

LAMEZIA TERME Scelto perché «già esperto di queste azioni» e perché «al suo paese sono in faida». Ragioni che avrebbero spinto Marco e Gianfranco Ferdico ad assoldare Pietro Andrea Simoncini (cl. ’83) di Vibo Valentia per l’omicidio del capo ultrà dell’Inter Vittorio Boiocchi, ucciso la sera del 29 ottobre 2022 sotto casa nel quartiere Figino, periferia Ovest di Milano. Elementi che hanno convinto i procuratori di Milano ad inquadrare l’omicidio di Boiocchi in un contesto criminale con «aggravante mafiosa», riconosciuta dal gip nell’ordine di arresto emesso nei confronti dei sei soggetti indagati: Daniel D’Alessandro (cl. ’95), Marco Ferdico (cl. ’85) e il padre Gianfranco (cl. ’63), Pietro Andrea Simoncini (cl. ’83) di Vibo Valentia e Cristian Ferrario (cl. ’74), oltre ad Andrea Beretta già in carcere.

Il “contesto mafioso”

Il contesto ‘ndranghetista evocato da Beretta sarebbe quello della “faida delle Preserre”, conflitto di ‘ndrangheta scoppiato nel 1988 tra Soriano Calabro, Sorianello, Gerocarne, Ariola, Pizzoni e Vazzano nel Vibonese. A giocare un ruolo chiave, secondo la ricostruzione accusatoria, la relazione con la prima moglie di Simoncini dalla quale è nata la moglie di Marco Ferdico. Quest’ultima il 16 dicembre 2008 ha patteggiato per «favoreggiamento personale» dopo essere stata indagata insieme ad altre tre persone, in relazione al favoreggiamento della latitanza del capo cosca Bruno Emanuele, ritrovato a catturato all’interno di un casolare all’interno di un villaggio turistico a Pizzo. In più, la sorella della donna e quindi zia di Marco Ferdico era sposata con quello che la Dda di Catanzaro definiva «capo di un sodalizio criminale attivo nel narcotraffico, con base logistica a Gerocarne», assassinato il 22 settembre 2012 proprio nei pressi della sua abitazione in Contrada Comunella a Gerocarne.

La «modalità professionali» dell’omicidio

Altro aspetto per nulla secondario per gli inquirenti è la gestione delle fasi preparatorie e di quella esecutiva dell’agguato che è costato la vita al capo ultrà nerazzurro, condotte con modalità «assolutamente professionali». A cominciare, ad esempio, dall’utilizzo di utenze olandesi applicate su telefoni cellulari modello Google Pixel sui quali erano state installate applicazioni di messaggistica istantanea criptata, con tecnologia di comunicazione PGP (pretty Good Privacy), non intercettabili con gli ordinari strumenti di intercettazione telematica, pertanto in grado di eludere il monitoraggio da parte delle forze dell’ordine. Inoltre, come ricostruiscono gli inquirenti, l’agguato è stato commesso a bordo di un motociclo acquistato appositamente e intestato ad un soggetto di fiducia di Andrea Beretta – poi distrutto – del quale invece era stato denunciato il furto. Motociclo portato inoltre sul luogo del delitto a bordo di un furgone appositamente noleggiato, del quale era stato manomesso il trasponder per non essere localizzato. La fase esecutiva dell’omicidio, invece, è stata preceduta da appositi sopralluoghi per studiare i luoghi.

La minaccia del “cacciatore” a Ferdico

C’è, poi, un altro elemento tenuto in grande considerazione dagli inquirenti, soprattutto dopo l’avvio della collaborazione di Andrea Beretta. L’occasione è il compleanno figlia di Marco Ferdico a Cernusco sul Naviglio, i protagonisti sono proprio Ferdico e il soggetto indicato spesso da Beretta come «il “cacciatore”» di Gerocarne. Quest’ultimo – come ricostruito – «si sarebbe sentito mancare di rispetto in quanto invitato a sedersi ad un tavolo diverso da quello dello stesso Ferdico». E, stizzito, si sarebbe lasciato andare ad una minaccia: «(…) ti pare che io sono un giocattolo, io ti prendo e ti do una fucilata (…) che non ti sembra che hai fatto anello che hai fatto e ti pare che sei forte… non hai capito niente ancora tu con chi ti sei messo…». Per gli inquirenti milanesi, le esternazioni di Idà sarebbero «riconducibili ad una ritenuta violazione da parte di Ferdico di regole e comportamentali tipiche degli ambienti criminali». Lo stesso “cacciatore”, inoltre, in un momento di sfogo con Antonio Bellocco avrebbe fatto menzione velata ad un qualcosa che «Ferdico “ha fatto”» e che gli avrebbe fatto «guadagnare credito nell’ambiente».

«Evocato il contesto mafioso»

In questo contesto, dunque, la partecipazione del vibonese Simoncini all’omicidio di Boiocchi, soggetto apparentemente estraneo al contesto milanese e lombardo, con un ruolo di primo piano sia nella fase preparatoria che in quella di esecuzione materiale, «assume pertanto un preciso significato che evoca il contesto “mafioso”». Per gli inquirenti, infatti, in questi ultimi mesi sono emersi elementi utili a delineare il contesto criminale nel quale si colloca l’omicidio di Vittorio Boiocchi, a partire dalle ingerenze della criminalità organizzata – anche di stampo mafioso – nelle attività commerciali legate al tifo organizzato. Dettagli emersi proprio nell’inchiesta “Doppia Curva” dello scorso settembre, con la presenza progressiva di Antonio Bellocco, rampollo dell’omonimo clan di ‘ndrangheta, nella gestione degli affari della Nord di San Siro. (g.curcio@corrierecal.it)

(Foto Ansa)

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