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l’intervista del Corriere della calabria

La ‘ndrangheta, la Camorra e Cosa Nostra «insieme sin dai tempi del contrabbando di sigarette»

Enzo Ciconte: «Hydra è solo un’evoluzione di una realtà esistente da anni. Gli ‘ndranghetisti non sono silenziosi, «parlano e ostentano»

Pubblicato il: 13/04/2025 – 7:00
di Fabio Benincasa
La ‘ndrangheta, la Camorra e Cosa Nostra «insieme sin dai tempi del contrabbando di sigarette»

COSENZA Scrittore con un passato da deputato, da membro della Commissione Giustizia e consulente per la Commissione parlamentare antimafia. Enzo Ciconte, docente di Storia della criminalità organizzata all’Università di Roma Tre, è uno dei massimi esperti di ‘ndrangheta. Ne studia, da sempre, l’evoluzione e la presenza al Nord. Al Corriere della Calabria, in una lunga intervista, si sofferma sulle origini dell’evoluzione della mala calabrese.

Il “metodo Falcone” resta attuale: seguendo il flusso di danari si arriva ai vertici dei clan. Oggi i soldi sporchi finiscono spesso all’estero e i sequestri sono esigui rispetto ai numeri registrati in Italia. Bisogna fare di più?

«Io ricordo ai tempi dei primi sequestri di persona, che la Polizia riusciva ad intercettare i soldi in contanti serviti per pagare i riscatti e li trovavano nelle banche. Oggi l’evoluzione è completamente diversa, i patrimoni si spostano da un posto all’altro attraverso vari canali e soprattutto attraverso l’aiuto di consulenti specifici della mafia. Le organizzazioni mafiose, in particolare la ‘ndrangheta, non ha affiliati in grado di movimentare masse enormi di denaro, quindi necessariamente devono ricorrere a soggetti esterni. In Italia la normativa antimafia, antiriciclaggio, funziona e la Polizia, la Guardia di Finanza, i Carabinieri sono attrezzati al contrasto. All’estero si vive una realtà completamente diversa. Non esiste una normativa come quella italiana e di conseguenza è possibile investire senza che ci sia la possibilità di confiscare questi beni. All’estero quasi nessuno è disposto ad ammettere – lo sta facendo ultimamente la Germania – che c’è una presenza mafiosa sui territori».

I criminali diventano fantasmi grazie alla capacità di disperdere le tracce sul web, mimetizzandosi su canali difficilmente raggiungibili. C’è chi sollecita investimenti su sistemi informatici e hacker. E’ la strada giusta?

«Questa risposta la lascio agli esperti presenti nelle forze dell’ordine. Mi limito a riflettere su come la ‘ndrangheta si sia evoluta. Anni fa, ho segnalato come gli uomini di ‘ndrangheta – contrariamente a quanto si pensasse – non solo parlano, ma vogliono farsi vedere. Perché sono figli del nostro tempo. Tutti o quasi siamo presenti sui social e perché non dovrebbero esserlo i mafiosi? Sui social si vedono mafiosi o parenti di mafiosi che magnificano le sorti dei loro cari in galera. Ti fanno vedere i Rolex, la loro bella vita, le macchine, le ragazze. il messaggio che ti mandano è chiaro “se vieni con noi guadagni, altrimenti resti solo con qualche soldo che ti dà lo Stato”. Ma non tutti i mafiosi sono intelligenti. Ci sono i cretini. Penso ai latitanti, che postano selfie su Facebook o Instagram e facilitano il compito degli investigatori impegnati nella loro cattura».

L’infiltrazione della mala nelle curve. I recenti fatti di cronaca hanno svelato scenari solo ipotizzati. Si poteva e si doveva agire prima?

«Non è una novità. Lei ricorderà anni fa una vicenda che aveva coinvolto anche la Juventus. Il problema è che a Milano c’è sempre stato un tifo molto particolare e un tifo malato e a Milano sono presenti la ‘ndrangheta e gli estremisti di destra. Sono sempre stati presenti nella storia d’Italia e della Calabria, in modo particolare. Le città sportive non hanno mai voluto prendere atto di questa realtà perché erano sotto ricatto, in realtà questa “tifoseria malata” crea più problemi che vantaggi. Crea un danno d’immagine .

A proposto di Milano. Si è chiusa la maxi inchiesta “Hydra”, l’accusa ipotizza una presunta alleanza tra esponenti di Cosa nostra, Camorra e `Ndrangheta. Che idea si è fatto di questa mala a tre teste?

«Nel 2000, ho scritto un libro su Milano e la Lombardia. Sono passati 25 anni, un quarto di secolo, quasi una generazione. Nel testo mettevo in evidenza come fosse forte la presenza della ‘ndrangheta nella realtà milanese dove operavano di comune accordo ‘ndranghetisti, mafiosi siciliani e camorristi napoletani. Perché? Perché avevano tutto l’interesse a farlo. C’erano cosche mafiosi che in Sicilia si facevano la guerra mentre al nord facevano affari, perché erano più importanti i danari dei morti ammazzati. Era già palese la presenza delle tre organizzazioni mafiose capaci di operare insieme. Una segnalazione la feci riguardo al contrabbando delle sigarette, addirittura prima del traffico degli stupefacenti. Avevo notato che in molti sequestri di casse di sigarette che avvenivano nelle navi c’erano sempre tra gli imputati un calabrese, un siciliano e un campano. I mafiosi collaboravano tra di loro. Vedremo se giudiziariamente l’inchiesta “Hydra” potrà reggere rispetto alle accuse, ma al di là della vicenda giudiziaria pare chiaro che ci possa essere una struttura di questo genere».

Torniamo in Calabria. Restituire al comune di San Luca un governo politico, democratico e magari duraturo è (im)possibile?

«Non penso sia una missione impossibile. Tutti quanti ricordiamo le guerre di mafia a Reggio Calabria con mille morti ammazzati o quella di Palermo. Io credo che anche San Luca possa ritrovare un percorso sereno ad una condizione: bisogna consentire alla società civile di esprimersi e fare in modo che ci sia la possibilità di assicurare libere elezioni. Non è un compito facilissimo. Mi guarderei bene da interventi esterni, servono persone del posto in grado di governare. Se a San Luca lo Stato riuscirà a garantire la propria presenza dando risposte ai cittadini, non avranno bisogno più di rivolgersi alla ‘ndrangheta». (f.benincasa@corrierecal.it)

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