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Il drago dell’Aspromonte

Arturo Rocca ha fotografato un esemplare di capra dell’Aspromonte con ben quattro corna. L’immagine è stata catturata a Staiti, piccolo centro dell’entroterra meridionale della Locride, alle falde…

Pubblicato il: 14/04/2025 – 11:40
di Bruno Gemelli
Il drago dell’Aspromonte

Arturo Rocca ha fotografato un esemplare di capra dell’Aspromonte con ben quattro corna. L’immagine è stata catturata a Staiti, piccolo centro dell’entroterra meridionale della Locride, alle falde dell’Aspromonte orientale. Da quelle parti l’animale è chiamato “Il drago dell’Aspromonte”. Un nome che richiama il libro di Gioacchino Criaco e Vincenzo Filosa, “L’ultimo drago d’Aspromonte” (Rizzoli Lizard, 2020).

Come recita Assonapa (Associazione nazionale della pastorizia): «La “Capra dell’Aspromonte” è originaria dell’entroterra della provincia di Reggio Calabria e, in particolare, dell’area grecanica o bovesìa; è da questo territorio che la razza si è diffusa in tutta la provincia reggina. È stata ammessa al registro anagrafico delle popolazioni ovine e caprine autoctone a limitata diffusione e, riconosciuta razza, con decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali».

Maria Franco, un’insegnante reggina che vive a Nisida, recensendo il libro di Criaco, ha scritto: «L’Aspromonte (…) aspro, ostile, lo è per chi non lo conosce, per i forestieri, per quelli che nel passare dei secoli sono venuti a conquistarlo. Per loro è sempre stato, ed è rimasto, asper, inospitale. Per chi lo ama, per i suoi figli, la montagna ha il significato opposti, aspru: bianca, lucente, ospitale, è Mana Gi, la grande madre che i pastori scolpiscono come una mammella sui collari di legno di gelso delle capre e delle pecore».

Questa la storia: «La grande montagna del reggino è la protagonista de L’ultimo drago di Aspromonte, testo di Gioacchino Criaco e disegni in bianco e nero di Vicenzo Filosa, pubblicato da Rizzoli Lizard. Nì, già bambino difficile e poi ragazzo tossicodipendente, viene affidato ad una locale comunità di recupero, ma vi si ritira a vivere, da solo, in una piccola abitazione immersa nella vastità di quel luogo selvaggio e, insieme, accogliente: che si fa, per lui, casa e famiglia. Nì diventa esploratore dell’ambiente e di se stesso, amico degli animali e delle piante, dei ruscelli e dei dirupi. Parla con il porco e con il capro, come con i pomodori e le zucchine del suo piccolo orto. Ha pochi contatti umani, l’impiegato delle poste, la signora del locale dove c’è il telefono da dove chiamare la madre, qualche pastore: persone di cui scoprirà le tragiche vicende alle spalle. Mangia, quasi sempre da solo, raramente in compagnia, cibi molto semplici, spesso solo pasta in bianco. Si riscopre natura dentro di lui e insieme alla natura che lo circonda e trova, tra alti e bassi, un nuovo equilibrio. La scrittura di Criaco – che, nei testi più noti, spesso lucidamente alterna la durezza della realtà con la magia della favola – si snoda, qui, leggera e precisa in una sospesa dimensione fiabesca che non disdegna, in filigrana, tracce di realtà. Tanto che il libro potrebbe, forse, diventare metafora di una Calabria che, per trovare un equilibrio che le faccia superare antiche difficoltà, deve ritrovare il legame profondo, ancestrale, con quel suo nucleo forte – apparente inferno e possibile paradiso – che è l’Aspromonte. Territorio di chi sconta antiche colpe ed è, ormai, innocente e dove i draghi «sono creature buone e gentili, nonostante il loro aspetto.

Abitato da un popolo che resta “un popolo d’Avvento”, con nel profondo un desiderio di riscatto e di rinascita. Una favola bella, che travalica i confini della regione, particolarmente adatta al più imprevedibile dei Natale che stiamo per vivere. Resa ancora più evocativa dalle tavole di Filosa, che non accompagnano lo scritto, ma ne sono parte integrante».

Floro De Nardo ha confermato: «La razza Capra dell’Aspromonte è una razza autoctona dell’aspro massiccio e in particolare dell’area grecanica, ascrivibile al gruppo delle capre europee di ceppo mediterraneo. Dalla bibliografia dei primi del ‘900 si conferma l’introduzione in Calabria di numerose razze caprine tra le quali la Maltese, un tipo ‘del Tibet’ dal lungo pelo sericeo e la Capra dell’Abissinia, non si esclude che alcune caratteristiche morfologiche attuali della razza possano essere state influenzate da tali gruppi etnici».

Questi, alle corte, sono i caratteri produttivi: tale capra è considerata una razza a duplice attitudine, quindi allevata per la carne ed il suo latte. La quantità di latte nelle pluripare è intorno ai 220 litri in 210 giorni, prevalentemente trasformato in prodotti caseari tradizionali come il Canestrato d’Aspromonte, il Caprino dell’Aspromonte, il Caprino della Limina, il Musulupu, la Cacioricotta, la Giuncata di capra, il Formaggio di capra, i formaggi misti come il Caciocavallo di Ciminà, il Canestrato, il Pecorino con il pepe, la Caciotta e le varie ricotte fresche, infornate, salate e affumicate. Le caratteristiche del latte danno il 3,95% grasso e il 3,57% di proteina. I capretti alla nascita pesano 3 kg circa, vengono macellati a 30 giorni con un peso medio di 9 kg. Un parto all’anno con nascite in inverno e primavera. Molto apprezzata è la carne dei soggetti adulti nei comprensori della provincia di Reggio Calabria.

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