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‘Ndrangheta, il terreno conteso a Isola Capo Rizzuto e l’intervento della cosca per evitare scontri “fratricidi”

L’episodio raccontato nell’inchiesta Folgore-Blizzard. Il ruolo da mediatore di Luigi Masciari e lo stigma per chi si rivolge allo Stato

Pubblicato il: 16/04/2025 – 11:02
‘Ndrangheta, il terreno conteso a Isola Capo Rizzuto e l’intervento della cosca per evitare scontri “fratricidi”

ISOLA CAPO RIZZUTO Due “litiganti” e un terreno conteso, il rischio di una nuova faida interna al clan evitata grazie all’intervento dei membri delle cosche di Isola Capo Rizzuto. È la ‘ndrangheta a cercare di mantenere la pace sul territorio, dirimendo intricate questioni che si creano soprattutto a causa della spregiudicatezza delle nuove generazioni. E chi si rivolge allo Stato viene quasi stigmatizzato e additato come «carabiniere». Emblematico è un episodio che emerge dall’inchiesta Folgore Blizzard riguardo un terreno conteso tra Antonio Bruno, ritenuto dagli inquirenti erede del boss milanese Mimmo Pompeo, e un altro soggetto di Isola Capo Rizzuto. Gli inquirenti ricostruiscono in pieno la vicenda, dimostrando il modus operandi della cosca nel risolvere la questione evitando così potenziali tensioni e spegnendo sul nascere i propositi bellici dei protagonisti.

Il terreno conteso

Oggetto della contesa è un terreno di Isola Capo Rizzuto, “preteso” da Antonio Bruno che ne avrebbe rivendicato la proprietà, nonostante l’altro “contendente” fosse in possesso di documenti cartacei che, però, venivano reputati «falsi». Nei suoi confronti Bruno ha presentato anche denuncia alle forze dell’ordine, un gesto che avrebbe irritato sia il “denunciato” che «se ne risentiva con il boss» sia gli uomini della cosca che avrebbero preferito risolvere la questione internamente. Ad interessarsi alla vicenda anche Luigi Masciari, arrestato nell’operazione, che avrebbe assunto il ruolo di mediatore per cercare di risolvere la problematica in favore di Bruno, a suo dire «una brava persona che faceva guadagnare». Ma anche l’«imbasciata» di Masciari inizialmente sarebbe stata vana, tanto da coinvolgere una terza persona legata al clan. È da lui che arriva l’invito a risolvere la questione perché «siamo tutti tra di noi». «Un riferimento – scrivono gli inquirenti – al vincolo criminale alla medesima appartenenza alla cosca Isolitana e un invito, esplicito, a non alimentare scontri “fratricidi”».

Le minacce e il rischio di violenza

Tensioni “fratricide” che non piacevano per nulla alla “vecchia guardia”. Lo stesso Luigi Masciari, discutendo con una terza persona, concorda con lui che «la gioventù di oggi non va bene, alludendo chiaramente alla mentalità delle nuove generazioni». In incontri successivi, di fronte alla “resistenza” del contendente, Antonio Bruno avrebbe riferito a Masciari «di avere dissuaso un gruppo di soggetti a lui legati dallo scendere a Isola Capo Rizzuto per risolvere la situazione». Soprattutto, che dopo la morte di Mimmo Pompeo ora «aveva preso il comando e avrebbe mandato degli albanesi a farlo ammazzare». Minacce che sarebbero giunte anche alle sue orecchie, ma è sempre Masciari a tentare di calmare la situazione, memore delle lunghe scie di sangue risalenti al periodo delle faide nel Crotonese, «sottolineando che la sua intenzione era di assicurare la pace ad Isola, evocando un periodo nel quale egli era solito utilizzare veicoli blindati per circolare nel predetto comune durante la faida».

La soluzione al problema

Ma né le minacce né i tentativi di intermediazione di più membri della cosca riescono a risolvere la questione, con il soggetto – sottolineano gli inquirenti – che «non aveva inteso modificare atteggiamento». Paradossalmente a risolvere la questione sarebbe stata la Procura di Catanzaro che, con un’operazione scattata nell’ottobre del 2023, avrebbe mutato gli equilibri criminali a Isola Capo Rizzuto, coinvolgendo «soggetti vicini alle parti in causa». Proprio la nuova situazione avrebbe convinto il contendente a restituire il terreno risolvendo la questione. (ma.ru.)

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