LAMEZIA TERME Sentito la prima volta il 6 marzo 2025, qualche giorno dopo Andrea Guarnieri (cl. ‘94) confermerà la volontà di proseguire nella collaborazione con la giustizia. «La paura di essere ucciso mi ha spinto a collaborare con la giustizia». Al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Debora Rizza, e al personale del Reparto Operativo Nucleo Investigativo, Guarnieri spiegherà anche i motivi che lo hanno portato a saltare il fosso e parlare. Il 31enne, infatti, aveva già raccontato nel primo interrogatorio di essersi spaventato dopo aver «sentito movimento di qualcuno» al rientro a casa dal lavoro «con la mia auto, era buio, appena sceso dalla macchina. Sono scappato dentro casa perché mi sono spaventato». E aggiunge un particolare ovvero di aver raccontato l’episodio a due avvocati, ma senza ottenere gran ché. «Uno non mi ha dato alcun consiglio, l’altro mi ha detto di fare libere valutazioni non volendo né dare consiglio che potessero pregiudicare me, né esporsi professionalmente in quanto non era il mio avvocato». «Non ho detto nulla né alla mia famiglia, cioè ai miei genitori, neanche alla mia compagna», chiarisce poi Guarnieri.
Quindi nel secondo interrogatorio il neo-collaboratore illustra anche i dettagli del suo “battesimo” e il rituale. «L’ho ricevuto nel 2018/2019 nel carcere di Catanzaro, furono due i battesimi per ricevere la “prima” e la “seconda dote”. Salvatore Abbruzzo mi mandò la ‘mbasciata tramite un suo co-detenuto nel carcere di Lanciano che lo riferii a Giuseppe Cosco». Il suo primo battesimo sarebbe avvenuto «quando Cosco era stato scarcerato» racconta Guarnieri, «la mia prima dote si chiamava, se ricordo bene, “giovane d’onore”». Il rito era consistito nel bruciare un santino, «nell’essere punto da un ago e da parole pronunciate da Valeo cui io davo la risposta secondo le istruzioni fatte precedentemente…» e di questo battesimo «mi dissero che avrebbero portato l’informazione all’interno del carcere, ma non so se all’esterno, cioè alla cosca, fu portata la notizia». Secondo il suo racconto, Guarnieri nel 2019 fu trasferito dal carcere di Catanzaro a quello di Nuoro. Qui «tenni corrispondenza epistolare, fino alla mia scarcerazione del 1° marzo 2023 con i sodali, Abbruzzo Salvatore, Gualtieri Francesco e Valeo Roberto. Tenni poi anche corrispondenza con l’ultimo dei miei co-detenuti, Saverio Torcasio, dopo che fui scarcerato e con nessun altro della cosca di appartenenza. Con Torcasio ci fu lo scambio di due lettere poiché anche lui fu scarcerato».
«Ero a disposizione del gruppo dei Catarisano» precisa Guarnieri agli inquirenti, perché «quando finivo di lavorare al campeggio “Cammello Grigio” Salvatore Abbruzzo mi mandava al bar “Eco del mare” di Roccelletta affinché restassi a disposizione di Pietro Abbruzzo e Nando Catarisano, ma anche per la loro protezione e vigilanza, che non succedesse nulla, nonché disponibile ad ogni loro richiesta perché in diverse occasioni ho accompagnati entrambi facendogli da autista». L’inchiesta “Scolacium” dei mesi scorsi aveva riaperto un capitolo che già “Jonny” aveva affrontato, quello cioè legato alla spartizione del territorio tra Roccelletta di Borgia, Borgia, Cortale, Girifalco e Vallefiorita, Amaroni, Squillace tra i Catarisano e la cosca Bruno. Proprio in riferimento alla cosca Catarisano, gli inquirenti avevano registrato una sorta di dualismo, con l’organizzazione e la direzione delle attività criminali divise tra Pietro Abbruzzo, classe ’52, e Massimo Citraro, classe ’66, grazie anche al contributo di soggetti legati storicamente al clan e ancora stabilmente inseriti nel clan come Vincenzo Tolone, Sandro Ielapi (ora pentito) e Bruno Abbruzzo e di nuove leve come Antonio Paradiso e Giuseppe Cristofaro.
All’interrogatorio ad un certo punto si aggiunge anche l’ex procuratore ff di Catanzaro Vincenzo Capomolla. «Le ragioni che mi hanno indotto a collaborare con la giustizia sono anche legate alle dichiarazioni rese pubbliche del collaboratore Sandro lelapi dalle quali è emersa la responsabilità di altri correi, i quali potrebbero aver nutrito il timore per una mia possibile collaborazione». Guarnieri si riferisce dunque a «persone appartenenti al contesto criminale della cosca di cui sono stato appartenente» i quali, suo dire, «avrebbero potuto uccidermi prima che potessi essere arrestato e rendere dichiarazioni collaborative» confermative di quanto detto dallo stesso Ielapi. (g.curcio@corrierecal.it)
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