CATANZARO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), si è pronunciato sul ricorso, proposto dalla società Pubbliemme S.r.l. Per i giudici del tribunale amministrativo regionale il ricorso è da respingere «in quanto in parte infondato, in parte inammissibile». Sempre il Tar ha disposto anche la condanna della Pubbliemme S.r.l. al pagamento, in favore del Comune di Rende, delle spese del giudizio pari a 10mila euro.
La Pubbliemme aveva presentato ricorso per ottenere l’annullamento della disposizione del Comune di Rende – approvata dal dirigente del Settore Lavori Pubblici- Manutenzioni-Patrimonio – con la quale è «stata prescritta la esclusione della società Pubbliemme dalla procedura aperta per l’affidamento in concessione del servizio di gestione degli impianti pubblicitari di servizio».
Con una determina datata 19 aprile 2024, il Comune di Rende aveva indetto una procedura aperta per l’affidamento in concessione del servizio di gestione degli impianti pubblicitari di servizio, per la durata di cinque anni. Conclusa la gara, era stata stilata la graduatoria provvisoria che vedeva al primo posto la Pubbliemme S.r.l., ed al secondo posto la Ati Pubblidoro Service S.r.l.
Il 5 giugno 2024, la Centrale Unica di Committenza ha proposto di aggiudicare l’appalto alla società vincitrice.
Successivamente, il 4 settembre 2024 il Comune di Rende comunica alla Pubbliemme l’avvio del procedimento di esclusione e motiva la decisione sulla base della «sussistenza di gravi violazioni, non definitivamente accertate di imposte e tasse o contributi previdenziali, accertate dal Concessionario comunale delle entrate tributarie» e di «violazione dell’obbligo di comunicare alla stazione appaltante la sussistenza dei fatti e dei provvedimenti che possono costituire causa di esclusione».
Con un provvedimento, datato 23 ottobre 2024, il Rup ha disposto «l’esclusione della società Pubbliemme dalla procedura di gara».
La società esclusa decide di opporsi alla decisione con un ricorso notificato il 22 novembre 2024, chiedendo l’annullamento degli atti. Il 2 dicembre 2024 si è costituito in giudizio il Comune di Rende, che ha dedotto «l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, nella misura in cui non sarebbero stati contestati da parte ricorrente tutti i fatti posti a fondamento dell’esclusione», argomentando in ordine alla «infondatezza di tutti e sette i motivi di ricorso».
Nel motivare la decisione, il Tar si sofferma sul contratto di gestione degli impianti pubblicitari fra il Comune di Rende e Pubbliemme, «citato nella relazione del Ministero dell’Interno del 28 giugno 2023 di scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose» e si afferma che «Pubbliemme avrebbe violato il divieto di subappalto, lasciando eseguire le prestazioni a ditte riconducibili a un soggetto molto vicino ad ambienti della criminalità organizzata».
Inoltre, si legge ancora nella motivazione del Tar, «Pubbliemme non avrebbe rispettato le date di scadenza del predetto contratto nonché di quello concluso con scrittura privata del 21 luglio 2006», più precisamente «ha continuato ad esercitare il diritto di gestire i servizi oggetto dei contratti, incamerando le relative somme, non consentendo di fatto all’Amministrazione di avviare nuove procedure ordinarie di scelta del contraente, fino all’emissione di diverse diffide da parte dell’Amministrazione».
Sempre il Tar, riferendosi alla contestazione mossa da Pubbliemme precisa come la stessa non sia «idonea a censurare la motivazione del Comune. Ciò perché è proprio nel ricorso che si afferma che “come è a conoscenza del medesimo Ente comunale, alla scadenza della proroga contrattuale la Pubbliemme ha continuato di fatto a gestire gli impianti pubblicitari in attesa della indizione della nuova gara, nella convinzione che fosse in corso la proroga tecnica, ma corrispondendo regolarmente il canone concessorio”. Per il Tar «è sufficiente a dimostrare che, quanto meno a partire dal termine della proroga concordata e fino all’effettiva riconsegna degli impianti, Pubbliemme abbia esercitato abusivamente il servizio oggetto di concessione».
Segue ulteriore motivazione. «A nulla rileva, in questo senso, che la società abbia provveduto a versare il canone di concessione perché la convinzione “che fosse in corso la proroga tecnica”, quand’anche assistita da buona fede, resta relegata al foro interno e non fa venir meno l’abusività della gestione del servizio, che resta esercitato oggettivamente senza titolo. Così anche il pagamento del canone, se effettivamente avvenuto, sarebbe avvenuto senza titolo, ma tale circostanza non fa venir meno l’abusività (e dunque la successiva qualificazione del fatto come grave illecito professionale) bensì la conferma». (redazione@corrierecal.it)
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