Il bronzo di Simone Alessio alle Olimpiadi di Parigi ha contribuito a diffondere il taekwondo in Italia. Il 9 agosto 2024, l’atleta di Sellia Marina, romano d’adozione, fece esplodere anzitutto la gioia e l’orgoglio dei calabresi, battendo lo statunitense Carl Alan Nickolas Junior nella finale per il terzo posto della categoria -80 chili. Con l’affermazione ai Giochi olimpici parigini, Alessio è diventato popolare al di là del taekwondo. E ne ha tratto beneficio la Calabria, che in questa disciplina continua a crescere grazie all’impegno costante di tecnici e atleti preparati, come del presidente del Comitato regionale della Fita (Federazione italiana taekwondo, nda), Giancarlo Mascaro, in carica da quasi otto anni. Da pochi giorni, poi, Mascaro è anche componente del Coni Calabria in rappresentanza delle Federazioni sportive. Allievo del maestro Franco Pappaterra e cintura nera 4° Dan, pratica il taekwondo dal 1990, continua ad allenarsi tre volte a settimana e dal 2004 al 2017 ha ricoperto ruoli di primo piano nel settore arbitrale dello stesso sport. Dal 2015, Mascaro è anche consulente del lavoro, specializzato in ambito fiscale, giuslavoristico e nella gestione delle associazioni sportive e dilettantistiche. A lui si deve molto lo sviluppo del taekwondo calabrese, sia per il numero degli atleti che per i risultati ottenuti. Protagonisti di questa fase sono Alessio, peraltro già due volte campione del mondo, e nuovi talenti come Ilaria Nicoletti e Pierpaolo Torcia, che si stanno affermando all’estero. Con Mascaro abbiamo perciò ripercorso la storia del taekwondo calabrese sino ai nostri giorni. In Calabria, si contano al momento 30 società affiliate e quasi 2mila tesserati, inclusi 250 over 60 coinvolti in progetti di sport e salute sostenuti dalla Fita e dal suo presidente Angelo Cito. Il prossimo 27 aprile si terrà a Catanzaro un importante torneo regionale dedicato ai più piccoli, con oltre 250 iscritti. Secondo Mascaro, iniziative come questa confermano che il taekwondo si radica ed è uno sport educativo e sicuro, in grado di trasmettere rispetto, disciplina e senso civico. A partire dai bambini.
Il taekwondo calabrese sta crescendo: Simone Alessio, già plurimedagliato, vincitore del Bronzo alle scorse Olimpiadi di Parigi e poi un vivaio di atleti che si affermano in Italia e in Europa. Facciamo il punto.
«Vero, stiamo crescendo, sia nei numeri che nella qualità. Partiamo dal nostro atleta più importante, Simone Alessio, già plurimedagliato, campione italiano e di assoluto livello internazionale: due volte vincitore dei Mondiali, tre volte del World Taekwondo Grand Prix, una volta degli Europei e poi della medaglia di bronzo alle ultime Olimpiadi. Però, oltre a Simone, che sportivamente è cresciuto in Calabria, abbiamo diversi atleti che si stanno affermando sia in Italia che in Europa. Tra i più importanti, ricordo Ilaria Nicoletti vicecampionessa europea nella categoria Cadetti e Pierpaolo Torcia, che la scorsa estate gareggiò ai Campionati del mondo Junior in Corea. Oltre a loro, poi, vi sono numerosi atleti che ormai si allenano e vivono quasi da professionisti: partecipano a Campionati italiani, ai Grand Prix e girano l’Europa per acquisire esperienza».
E poi?
«In Calabria abbiamo alcune società formate da tecnici anziani e altre da giovani che, quasi ogni fine settimana, viaggiano per partecipare a campionati interregionali e italiani per le svariate categorie, anche olimpiche, come per aumentare il bagaglio delle esperienze e dare la possibilità ai loro atleti di ottenere maggiori punteggi e di accrescere le competenze tecniche individuali. Tra l’altro con notevoli sforzi, anche per gareggiare in tutta l’Europa; in particolare nei tornei principali, che si svolgono in Austria, in Croazia e perfino in Svezia».
La storia del taekwondo italiano passa anche dalla Calabria. Come si sviluppò nella regione, quando il gran maestro Young Ghil Park iniziò a diffonderlo nel Sud?
«Anche se è una piccola regione, la Calabria rientra nella storia del taekwondo italiano, che da Roma si sviluppa soprattutto nel sud Italia, nelle fasi iniziali. Il taekwondo italiano nasce nella Capitale negli anni ’60: il primo centro viene fondato nel 1966 dal presidente federale Sun Jae Park. Il fratello, il maestro Young Ghil Park, porta la disciplina nel Sud e la diffonde nelle regioni meridionali quale sua precisa missione. Per quanto concerne il taekwondo calabrese, il fondatore è il maestro Marascio, di Soverato, ancora in vita. Marascio studia negli anni ’60 a Roma e apprende l’arte del taekwondo dal presidente Sun Jae Park, nella storica palestra di via Cesare Raspini. Successivamente termina gli studi, torna in Calabria nei primi anni ’70 e inizia a promuovere la disciplina, soprattutto nelle province di Catanzaro e Cosenza, dove avvia le prime società».
E dopo?
«Da qui, a Cosenza abbiamo poi il maestro Cianciaruso, da cui sono nati maestri storici: Sansone e Garritano. Per quanto riguarda invece Catanzaro, la prima palestra nasce tra la fine degli anni ’70 e gli esordi degli anni ’80, sempre per opera del maestro Marascio. Le prime cinture nere arrivano nell’ultima parte degli anni ’80. Parliamo dei maestri Mannaioli, Guerra e Paolino Prato. In seguito, sono arrivate altre cinture nere: i maestri Giordano, Tornello, Scarfone e Chiodo. I ricordati maestri hanno costituito le prime società sportive, ancora attive dopo 40 anni».
E adesso?
«Ora in Calabria abbiamo 30 società affiliate alla Fita, con 1.800 tesserati che appartengono a tutte le facce d’età: dai 4 anni ai 92 anni. Questo grazie alle politiche attuate al livello centrale dal nostro lungimirante e instancabile presidente Angelo Cito, che ha anche ottenuto dei finanziamenti e incentivato la pratica del taekwondo in tutte le fasce d’età, seguendo le linee guida del ministero e del dipartimento dello Sport sulla promozione degli stili di vita. Ciò ha avvicinato al mondo del taekwondo i bambini, le famiglie, innumerevoli ragazze e ragazzi e finanche la fascia d’età più debole, degli over 60, con la realizzazione di progetti specifici. Oggi abbiamo nell’intera regione circa 250 tesserati anziani».
Il prossimo 27 aprile, al PalaGallo di Catanzaro, avrà luogo il Torneo regionale di combattimento riservato ai più giovani. Nello specifico, sono state superate le 250 iscrizioni. Che cosa significa, presidente?
«Si tratta di una manifestazione di combattimento per le classi di età più piccole, Children, Beginners e Kids, cioè bambini che vanno dai sette agli 11 anni. Questo per avvicinare i più piccoli al taekwondo, diffondere la cultura dello sport e i valori propri della nostra disciplina, tra cui il rispetto per sé stessi, per l’avversario e per gli altri. Abbiamo superato i 250 iscritti, quindi avremo con tanto piacere bambini provenienti da tutta la regione. È un risultato di rilievo: vuol dire che le società ci seguono e le famiglie sono appassionate. Peraltro, significa che è ormai chiaro e pacifico un aspetto: il taekwondo non fa male, anche se è un’arte marziale, un’arte di combattimento».
E quindi?
«Tutto questo è per noi una grandissima soddisfazione. Ormai il taekwondo lo vediamo in tv, lo vediamo pubblicizzato sui social e in diverse trasmissioni. Come accennato, l’opinione pubblica ha compreso che la pratica del taekwondo non porta danni fisici. Allora tantissimi bambini seguono questo tipo di attività: a loro piace combattere nel rispetto delle regole e si divertono. Per molti versi, proprio come teorizzava lo storico John Huizinga a proposito del gioco, si realizza nel mondo imperfetto una perfezione temporanea».
Spesso il taekwondo si lega alla pedagogia, allo sviluppo dell’autonomia personale nei bambini e nei ragazzi, al rispetto delle regole e dell’altro. È una disciplina che può favorire la consapevolezza personale e anche la coscienza del valore della legalità nelle nuove generazioni?
«Certo. Per come si svolgono gli allenamenti e i combattimenti, ma anche in virtù della sua natura e delle proprie regole, il taekwondo dà anzitutto disciplina mentale, concentrazione sull’obiettivo, autostima, capacità e volontà di migliorarsi. Il taekwondo insegna a respingere l’idea, dominante in molti ambiti, secondo cui l’avversario è un nemico. E anche l’idea della discriminazione, come dimostra il successo sportivo e pedagogico del parataekwondo nel nostro Paese. Inoltre, il taekwondo trasmette il rispetto verso l’altro e la comunità. In questo senso, è ideale per diffondere e alimentare il valore della legalità, anche perché nel taekwondo non esistono scorciatoie: se non ti impegni, perdi. Tra l’altro, se non ti mantieni saldo, concentrato e umile, perdi lo stesso. Per queste ragioni, è una disciplina che può favorire consapevolezza individuale rispetto all’importanza della legalità; principio di cui abbiamo tutti bisogno e che, soprattutto alle nostre latitudini, ci sforziamo di promuovere per sconfiggere ogni cultura della prevaricazione e della violenza».
Qualcuno scriveva che il taekwondo può dare anche sbocchi occupazionali. In che senso?
«Sì. Può dare anche sbocchi occupazionali nell’ambito professionistico e addirittura nelle Forze dell’ordine. Oggi, poi, i maestri possono aprire partite Iva o essere regolarmente contrattualizzati, con redditi da lavoro assimilati a quelli di una qualsiasi attività professionale. Peraltro, soprattutto nelle società sportive, il taekwondo non è più inteso quale mera disciplina di combattimento, sicché è possibile viverlo a 360 gradi, quindi pure per ciò che riguarda le forme, il freestyle, la progettazione e l’inclusione. Per questo, si può anche lavorare con – e per – le persone diversamente abili, con gli adulti o comunque anche con l’attività promozionale. In palestra si arriva ad avere tra i 50 e i 70 iscritti. Tra l’altro, in Calabria ci sono società che superano i 100 tesserati. Chi, lavorando e comunque realizzando dei progetti, riesce a ottenere numeri del genere, può di fatto lavorare e avere un reddito sufficiente per una vita dignitosa».
Un tempo il taekwondo si diffondeva con dimostrazioni molto suggestive: dalla rottura delle tavolette di legno a prove acrobatiche e comunque spettacolari. Oggi ci sarebbe anche bisogno di iniziative nelle scuole, per evidenziarne il ruolo educativo?
«In passato, il taekwondo veniva promosso proprio all’interno delle scuole: con tante dimostrazioni fatte di rotture di tavolette e salti acrobatici. Allora la gente rimaneva impressionata per l’agilità, la scioltezza e per il modo in cui venivano rotte le tavolette. Gli atleti riuscivano infatti a romperle pur non avendo fisici da palestrati o molto muscolosi. Grazie alla creazione del Thf Italia, il cui acronimo sta per Taekwondo Humanitarian Foundation, in Italia è stato istituito il Ciao Team, squadra dimostrativa acrobatica, molto bella da vedere, che sia la World Taekwondo che la Federazione italiana taekwondo stanno mandando in giro per promuovere la disciplina, mostrare le abilità acrobatiche degli atleti e diffondere i valori sani dello sport».
Le istituzioni pubbliche e le aziende locali potrebbero sostenere le società del taekwondo calabrese per investire sulla promozione della socialità e, soprattutto, della crescita equilibrata dei ragazzi, oggi sempre più esposti a pericoli, anche per via delle nuove tecnologie digitali?
«È in linea generale difficile. Molte volte, infatti, il taekwondo viene visto come uno sport minore e non è ancora popolare come il calcio, la pallavolo o il tennis. Esistono però delle possibilità di ottenere dei contributi, sia dalle istituzioni che dalle aziende. E poi c’è modo di usufruire di crediti d’imposta notevoli o comunque di detrazioni fiscali significative. Sarebbe bello riuscire a trovare anche singoli investitori che vogliano promuovere il taekwondo, pure con piccoli contributi che dopo potrebbero scaricare. A un ente pubblico o a un’azienda giova molto concorrere alla crescita del territorio, sostenendo attività che rendano le persone migliori. Questo è un compito che dovrebbero avere anzitutto le istituzioni, perché il taekwondo, e in generale lo sport, è formidabile per l’educazione dei ragazzi, anzitutto alla vita, che è relazione con gli altri, con l’ambiente naturale, con il contesto sociale e con il governo della cosa pubblica. Tutti aspetti essenziali, specie davanti ai pericoli delle devianze; anche quelle degli ambienti digitali e virtuali, sempre più pervasive e spesso incontrollate».
Quale ritorno ne avrebbero le istituzioni pubbliche?
«Studi scientifici dimostrano che investire nello sport ha un ritorno elevato: per ogni euro, c’è una ricaduta sei o sette volte superiore. I bambini, i ragazzi e gli adulti che praticano attività sportiva sono abituati alla correttezza e anzitutto guadagnano in salute. In quanto alle personalità ancora in formazione, e qui mi riferisco ai più giovani, lo sport dà loro un indirizzo, le allontana dalla strada e dalle ossessioni virtuali, sicché ne favorisce indirettamente il senso di cittadinanza e comunità. Perciò, poi si ritroveranno, per esempio, a pagare le tasse, a rispettare l’ambiente, a non inquinare, a non rubare e, soprattutto, a saper pensare. Allora si ridurrebbero i problemi di ordine sociale. Soprattutto per quanto riguarda gli adulti, praticare attività sportiva determina, come ovvio, una riduzione delle spese a carico del Servizio sanitario nazionale».
Quali sono, adesso, gli obiettivi del taekwondo calabrese?
«Noi lavoriamo in continuazione, ogni giorno, per promuovere e diffondere il taekwondo. Quindi, il nostro obiettivo è continuare a seguire l’indirizzo della nostra Federazione, finora sempre all’altezza, che ci ha sempre sostenuto per qualsiasi gara e attività in Calabria. Da qui ai prossimi quattro anni, noi ci proponiamo di aumentare il numero delle società presenti nel territorio e di proseguire il nostro cammino, quindi anche con iniziative promozionali e attività di alto livello. Sarebbe bello riuscire ad avere in Calabria una migliore impiantistica sportiva».
Perché?
«Noi vogliamo che emerga il talento dei nostri ragazzi. Per questo sono necessarie risorse adeguate, che speriamo promuova il Coni, e strutture sportive capienti e moderne. Per acquisire esperienze agonistiche, i nostri ragazzi sono costretti a viaggiare, e sappiamo benissimo che partire dalla Calabria costa il doppio rispetto ad altre regioni. Quindi dovremmo avere maggiori finanze e comunque strutture sportive migliori, in grado di ospitare anche campionati italiani e altri tornei di prestigio. Questo per evitare che i nostri ragazzi debbano viaggiare e al fine di consentire che abbiano minori costi per confrontarsi con i pari livello direttamente “in casa”».
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