REGGIO CALABRIA Latitante, fantasma, criminale in fuga. Sono le immagini più frequenti utilizzate per descrivere Rocco Morabito: narcobroker partito da Africo alla conquista del mondo. Antonio Talia ha tratteggiato, nel suo ultimo libro “Duello. Caccia globale al boss dei narcos calabresi”, i contorni di una storia criminale incredibile.
«Si è dotato di diverse identità, quella diciamo più più famosa è quella scritta sul passaporto esibito nel momento in cui è stato catturato per la prima volta a Montevideo in Uruguay, era di questo imprenditore brasiliano Francisco Cappelletto Sousa, ma dietro si celava sempre Rocco Morabito e si nascondevano sempre i suoi legami con la Calabria. Come si riscontra in alcune indagini, soprattutto in “Eureka” e in “Magma“, a favorire la fuga dal carcere di Montevideo, è stata una sorta di colletta tra varie ‘ndrine e poi nel momento in cui era latitante (per la seconda volta) manteneva contatti con i parenti di Africo e continuava a movimentare enormi carichi di cocaina. Infine, non dimentichiamo che è stato catturato insieme a Vincenzo Pasquino, altro esponente della ‘ndrangheta».
«In molti rapporti di polizia che ho consultato sull’epoca in cui Morabito viveva a Milano, quindi della fine degli anni ’80 e dei primi anni ’90, veniva descritto come un tipo molto on/off: estremamente diplomatico e capace di tirare fuori il volto brutto al momento giusto, ma poi dotato di una straordinaria capacità nello stringere alleanze. Circostanza che l’ha proiettato in una dimensione internazionale. Come viene ipotizzato nell’indagine “Eureka”, per esempio, cerca di mettere insieme due poli opposti del mondo nel momento in cui cerca di acquistare dei fucili Kalashnikov in Pakistan, probabilmente da un’associazione mafiosa, per scambiarli con della cocaina che arrivava dal Brasile e dal cartello del Primero Comando da Capital. È sempre stato un uomo di relazioni criminali, capace di mettere insieme veramente organizzazioni che arrivano dai quattro punti cardinali del mondo. Inizia la sua carriera a fianco di un narcotrafficante giordano di origine palestinese che lavorava con i turchi».
«Nella trappola non è caduto direttamente lui, ma Pasquino. E’ stato dimostrato che anche nell’utilizzo delle piattaforme criptate Rocco Morabito era estremamente prudente e utilizzava sempre parole più o meno cifrate, non inviava mai foto capaci di ricondurre al luogo in cui si trovava. L’errore è stato di Vincenzo Pasquino, che nell’incontrarsi con Rocco Morabito e nell’avere un telefono criptato Anom, ha portato la Polizia italiana, quella brasiliana e i Ros dei Carabinieri sulle tracce di Morabito. Non è un caso se, come mi è stato raccontato dagli investigatori, quando vengono arrestati e poi riportati sull’aereo che li conduce da João Pessoa a Brasilia, Pasquino è nervosissimo con la testa incastrata tra le gambe per tutto il viaggio, mentre Rocco Morabito non parla con nessuno e non dà segni di cedimento».
«Ci sono anni di buio, dai primi anni 2000 al 2010, nei quali l’ombra di Rocco Morabito si percepiva nei carichi di droga che arrivavano in Europa insieme a un pugno di altri 4 o 5 broker della cocaina. Quel periodo sarebbe veramente interessante da ricostruire, sapere con certezza cosa è successo». (f.benincasa@corrierecal.it)
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