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Il monopolio sul cimitero di Locri quando era sotto scacco dei Cordì: «Non fare tombe a clienti miei»

Nel 2019 l’inchiesta “Riscatto-Mille e una notte” svelò gli affari: dai funerali alle attività edili. «Il cimitero è casa mia»

Pubblicato il: 20/04/2025 – 18:35
di Mariateresa Ripolo
Il monopolio sul cimitero di Locri quando era sotto scacco dei Cordì: «Non fare tombe a clienti miei»

LOCRI «Non ti devi permettere di fare tombe a clienti miei, il cimitero è casa mia e non casa tua e diglielo a questi altri quattro mastri di merda». La gestione del cimitero di Locri era un affare che riguardava i clan di ‘ndrangheta. Per questo sono stati condannati nell’ambito del processo nato dall’operazione “Riscatto-Mille e una notte” esponenti del clan Cordì. L’inchiesta della Dda di Reggio Calabria nel 2019 ha fatto emergere estorsioni da parte di esponenti della ‘ndrangheta legati alla cosca Cordì di Locri in relazione ad alcuni lavori banditi dal Comune, ma anche di appalti privati. Tra questi, oltre alla ristrutturazione di un edificio scolastico e i lavori a Palazzo Nieddu Del Rio, anche la costruzione del teatro situato nella zona di Moschetta, con richieste estorsive che potevano arrivare anche ai 18mila euro
L’inchiesta aveva anche permesso di ricostruire l’operatività di gruppi criminali riconducibili alla cosca per estorsioni e per il monopolio sul cimitero locrese. Dall’organizzazione dei funerali alla vendita dei fiori, passando per le attività edili sulle tombe fino al trasporto dei defunti: secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, gli indagati avrebbero gestito con modalità illecite tutte le attività legate ai servizi funebri del cimitero locrese.

Le intimidazioni. «Il cimitero è casa mia»

E nelle 150 pagine delle motivazioni del processo d’appello i giudici elencano gli episodi che fanno riferimento alle intimidazioni e alle minacce ai danni degli imprenditori che si occupavano di lavorare nel settore di interesse del clan. Un riferimento in particolare emerge riguardo alla posizione di Albatoaei Vasile lulian, considerato uomo di fiducia di Gianfranco Alì (condannato in abbreviato). L’uomo è considerato responsabile di un’intimidazione ai danni di un geometra. E’ il febbraio 2018 quando un soggetto, identificato proprio in Albatoaei – con in mano una tanica di benzina, giunto nei pressi di un camioncino, la riversava interamente e appiccava il fuoco, allontanandosi subito dopo incendiando l’unico mezzo dell’azienda di cui disponeva l’imprenditore. Un episodio – scrivono i giudici nelle motivazioni – «riconducibile alla volontà del suo datore di lavoro di predominare nel settore funebre, tanto da estromettere chiunque osasse concorrere con la sua azienda nei lavori del cimitero: infatti, per come emerso dalle plurime testimonianze dibattimentali Alì Gianfranco non aveva visto di buon occhio la nuova Amministrazione comunale che stava mettendo a repentaglio la sua egemonia costruita negli armi nel settore funebre».
Tra tutte, – secondo i giudici – è degna di nota la testimonianza di un imprenditore a cui era stata commissionata la realizzazione di due loculi, e che diventa vittima di Alì. L’uomo ha raccontato di aver ricevuto esplicite minacce con il divieto categorico di svolgere lavori all’interno del cimitero di Locri: «Non ti devi permettere di fare tombe a clienti miei, il cimitero è casa mia e non casa tua e diglielo a questi altri quattro mastri di merda». (m.ripolo@corrierecal.it)

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