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Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra in Lombardia. «Un’associazione che non finisce mai!»

L’inchiesta Hydra della Dda di Milano presuppone l’esistenza di una struttura “confederativa orizzontale”. «Abbiamo costruito un impero»

Pubblicato il: 23/04/2025 – 6:57
di Fabio Benincasa
Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra in Lombardia. «Un’associazione che non finisce mai!»

MILANO «Abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano (…) passando dalla Calabria, da Napoli ovunque». L’intercettazione è finita nelle carte dell’inchiesta Hydra coordinata dalla Dda di Milano contro i presunti esponenti di Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra attivi nel capoluogo lombardo e nel suo hinterland. Il mostro leggendario della mitologia greca e romana viene utilizzato per cristallizzare l’esistenza, da dimostrare nel corso del processo, di una sorta di maxi consorzio della mala in grado di mettere insieme tutte le mafie, capaci di seppellire l’ascia di guerra in nome e per conto dei danari.
La plata e non il plomo, i milioni di euro ottenuti con l’esercizio del potere mafioso senza passare da armi e munizioni. Ormai è prassi assai consolidata a quelle latitudini, al Nord si arriva con la valigetta, in giacca e cravatta: business is business direbbero gli americani e pazienza se qualcuno è costretto a tenere a bada l’istinto di far fuoco ed eliminare i compari rivali. La foto del tavolo occupato da uomini d’onore impegnati a pianificare progetti futuri, è costantemente utilizzata in tutti i servizi in onda nelle trasmissioni nazionali di approfondimento di nera e giudiziaria. In loop viene mostrato quel frame che racchiuderebbe l’essenza dell’attività investigativa. Anni di pedinamenti, monitoraggio, controlli e ricerca delle prove necessarie a cementificare la convinzione di essere dinanzi ad una nuova frontiera del crimine organizzato.

Il sistema mafioso

Il sistema, mafioso lombardo che, per l’accusa, «avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva nel territorio delle città di Milano, Varese e zone limitrofe, aveva lo scopo di commettere i gravi delitti». Quali? Rapine, truffe, riciclaggio, intestazioni fittizie, false fatturazioni, estorsioni e narcotraffico. Qualsiasi business illecito in grado di arricchire le casse della mala rappresenta un’opportunità per mostrare i muscoli ed occupare una porzione del vasto territorio lombardo. C’era chi, secondo l’accusa, avrebbe acquisito direttamente o attraverso il ricorso a teste di legno intere attività economiche «nel settore logistico, nel settore edilizio, nel settore sanitario». Tra le fonti di guadagno anche le forniture legate all’emergenza Covid, le procedure di sanificazione, il servizio ambulanza per trasporto dializzati. Ma non solo. Il “sindacato criminale a tre teste” avrebbe allungato i tentacoli anche sulle piattaforme e-commerce, oltre al business della ristorazione, del noleggio auto, della gestione di parcheggi aeroportuali, del settore petrolchimico. Insomma, non c’era attività redditizia che non fosse attenzionata.

«State facendo lì un’associazione che non finisce mai!»

«I miei fratelli! I miei fratelli (…) Io con una chiamata (…) la Lombardia, tutta la Calabria, tutta la Sicilia, con una chiamata (…) con quelli siamo fratelli». Ci sono altri stralci di captazioni utilizzare da chi indaga per meglio comprendere modus operandi e organizzazione delle mafie.

«State facendo lì un’associazione che non finisce mai!»

Il carattere unitario della mala milanese si sarebbe determinato in una struttura “confederativa orizzontale” in cui i vertici di ciascuna componente, operando allo stesso livello, avrebbero realizzato un “sistema mafioso lombardo”. Si ipotizza, che «singoli soggetti operino in rappresentanza della associazione originaria di appartenenza e decidano congiuntamente, nell’ambito di diversi summit, l’operatività» del medesimo sistema. Nonostante la volontà di operare in sinergia – come emerge da alcune conversazioni intercettate – il legame con la propria terra di origine è costantemente evocato nelle conversazioni intercettate. C’è chi si vanta e chi conserva e difende i riferimenti a contesti mafiosi originari. (f.benincasa@corrierecal.it)

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