ROMA «In tema di omicidio doloso, il mancato ritrovamento del cadavere non impedisce la formazione della prova né incide sul principio di responsabilità e, tuttavia, l’evento morte può essere provato mediante indizi gravi, precisi e concordanti, nonché tenendo conto del comportamento post factum dell’imputato». Sono queste le motivazioni chiave che hanno indotto la Corte d’Assise di Imperia, il 15 dicembre scorso, a condannare all’ergastolo il pizzaiolo e ristoratore Salvatore Aldobrandi, 75 anni, originario di San Sosti (Cosenza), ma da anni residente a Sanremo, accusato di omicidio volontario aggravato dai motivi abbietti per avere ucciso Sargonia Dankha, 21 anni, di origini irachene, naturalizzata svedese, sparita nel nulla nel primo pomeriggio del 13 novembre del 1995 a Linköping, in Svezia. Così scrive il presidente della Corte, Carlo Alberto Indellicati nelle 128 pagine delle motivazioni, dove si ripercorre la storia familiare dell’imputato, che in Svezia si faceva chiamare Samuel. Lo riferisce Ansa.
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